C’è l’abitudine di utilizzare il pensiero di chi è morto per dimostrare una tesi o per combatterne un’altra. Uno dei personaggi più strumentalizzati è Giovanni Falcone, il magistrato ucciso dalla mafia il 23 maggio del 1992. Negli ultimi tempi il pensiero di questo eroe è stato utilizzato dai contrari e dai favorevoli alla separazione delle carriere dei magistrati.
Piero Grasso, che è stato procuratore nazionale antimafia prima di diventare presidente del Senato, ha detto: “Falcone si sta rivoltando nella tomba. Lo sport più diffuso è quello di attribuire a Giovanni dopo la sua morte idee che non lo avevano nemmeno sfiorato”.
Il magistrato antimafia e la separazione delle carriere
Chi è favorevole alla separazione delle carriere ha ricordato un’intervista di Falcone a La Repubblica del 3 ottobre 1991: “Un sistema accusatorio parte dal presupposto di un pubblico ministero che raccoglie e coordina gli elementi della prova da raggiungersi nel corso del dibattimento, dove egli rappresenta una parte in causa. Gli occorrono, quindi, esperienze, competenze, capacità, preparazione anche tecnica per perseguire l’obbiettivo. E nel dibattimento non deve avere nessun tipo di parentela col giudice e non essere, come invece oggi è, una specie di para-giudice”. E la querelle continua.
Stefano Bisi