Il panorama italiano del licenziamento illegittimo ha subito qualche modifica e, in alcuni casi, spetta la reintegra del lavoratore.

Infatti, in base alle ultime novità, quando il giudice dichiara illegittimo il licenziamento, si deve stabilire se al dipendente spetti il suo precedente posto, appunto la reintegra, oppure solo un risarcimento danni.

Quella del risarcimento danni era una soluzione prevista dal Job Act, ma i recenti interventi hanno cambiato le carte in tavola.

Nel testo facciamo il punto sulle ultime novità, spiegando in quali condizioni spetta la reintegra in caso di licenziamento illegittimo.

Cos’è la reintegra del lavoratore

Quando un licenziamento è illegittimo, il giudice può ordinare la reintegrazione del lavoratore in azienda. Quindi, il lavoratore deve essere reinserito nel suo vecchio posto di lavoro.

In parole povere, è proprio questo il significato di reintegra. Questa deve avvenire perfettamente com’era prima del licenziamento: il lavoratore deve avere lo stesso posto di lavoro e deve svolgere le medesime mansioni.

Il datore di lavoro non può assolutamente optare per l’assegnazione di nuove mansioni e neppure per il trasferimento in una sede diversa. Inoltre, il lavoratore deve svolgere la propria attività negli stessi orari di prima.

Quando spetta la reintegra al lavoratore in caso di licenziamento illegittimo

Il licenziamento è l’atto con il quale il datore di lavoro recede dal contratto di lavoro con un suo dipendente. Sono previste, però, alcune limitazioni alla possibilità di un datore di lavoro di licenziare un lavoratore dipendente.

Possono esserci molti casi che possono portare al licenziamento di un lavoratore, alcuni giusti o altri no. Si pensi al caso del licenziamento di un dipendente che aveva rifiutato di svolgere alcune mansioni. In questa particolare situazione, il licenziamento è legittimo, ma solo al verificarsi di alcune condizioni.

In alcuni casi, infatti, questa pratica è illegittima. Il lavoratore quando ritiene che il licenziamento sia stato illegittimo può impugnarlo entro 60 giorni.

Se il giudice dichiara illegittimo il licenziamento, allora può decidere per la reintegra oppure per il risarcimento dei danni. Ci sono diversi casi e condizioni che possono portare alla reintegra e riguardano:

  • Il licenziamento disciplinare;
  • Il licenziamento economico.

Ovviamente, non sempre, ma solo al verificarsi delle condizioni che indicheremo.

Reintegra per licenziamento disciplinare

Il primo caso riguarda il licenziamento disciplinare, ovvero quello per violazioni del datore di lavoro. In base alle modifiche all’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, il lavoratore ha diritto alla reintegra solo quando questa sia esplicitamente prevista dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro oppure dal codice disciplinare.

Ciò, però, è stato reinterpretato dalla Cassazione nel 2022. Con due sentenze, è stato stabilito che il lavoratore può essere reintegrato anche in caso di inadempimenti descritti dai CCNL con clausole generali o elastiche come possono esserlo “lieve irregolarità” o “negligenza grave”.

Un secondo caso è quando il fatto contestato risulta inesistente, ovvero quando emerge che la condotta contestata, in realtà, non è mai avvenuta.

C’è anche il caso in cui la restituzione del posto di lavoro avviene se la condotta incriminata non costituisce illecito disciplinare.

La Corte Costituzionale, inoltre, con la sentenza n. 129/2024, ha stabilito che spetta la reintegrazione del posto di lavoro anche quando i licenziamenti disciplinari vengono considerati invalidi, ma solo nel momento in cui il comportamento contestato al dipendente è punito dal contratto collettivo con una sanzione conservativa.

Reintegra del lavoratore per licenziamento economico

La seconda casistica riguarda i casi di licenziamento per ragioni economiche. Al pari del primo caso, la reintegra spetta quando il fatto non sussiste.

Con la sentenza. n. 128/2024 la Corte Costituzionale ha reintrodotto la reintegrazione sul posto di lavoro quando viene provato in giudizio l’insussistenza del fatto materiale dedotto dal datore di lavoro a motivo del licenziamento.

Possiamo fare l’esempio di un’azienda che annuncia la soppressione di una posizione lavorativa e licenzia un dipendente. Se la dichiarazione dell’azienda era falsa e la posizione non è stata soppressa, allora il dipendente licenziato ha diritto alla reintegrazione sul posto di lavoro.