Sempre più efferati gli episodi di violenza sugli animali. Alcuni mostrano un livello di crudeltà degno di un film horror, così le pagine di cronaca continuano a riempirsi del racconto di animali uccisi brutalmente per divertimento. TAG24 ha intervistato in merito alla questione le avvocatesse Claudia Ricci (Enpa) e Claudia Taccani (Oipa).

L’ultimo, orribile, fatale gesto di violenza sugli animali è avvenuto a Pizzoli, un piccolo comune dell’Aquilano, in Abruzzo. Sfortunata protagonista dell’episodio una pecora, scuoiata viva, sgozzata e poi mangiata in un parco giochi per bambini, lo scorso giovedì 18 luglio 2024.

Violenza sugli animali: quando diventa un reato? Lo spiegano le avv. Ricci (Enpa) e Taccani (Oipa)

A compiere l’orribile gesto di uccidere una pecora due cittadini di origine tunisina, di 19 e 30 anni. Ambedue già soggetti a un obbligo di dimora, uno dei due a seguito di una rissa. La gravità della violenza ha spinto i gip Guendalina Buccella e Giovanni Spagnoli a decidere di inasprire la pena ai due ragazzi, emanando un’ordinanza di custodia cautelare in carcere.

Prima ancora dell’ovino, però, sono tristemente noti molti altri casi di crudeltà verso gli animali. Dal gatto Leone scuoiato vivo al cane Aron bruciato dal suo padrone. Oppure ancora il micetto lanciato dal ponte passando per quello legato ai binari del treno e falciato dal veicolo in transito.

Episodi su episodi di inaudita violenza e becera crudeltà, che, però, sono sintomo di un qualcosa di più grave e che deve assolutamente portare a un cambiamento, non solo nell’opinione pubblica, ma anche a livello legislativo. Come, infatti, afferma l’avvocatessa Claudia Ricci, legale presso l’Enpa (Ente nazionale protezione animali):

I gip hanno fatto una cosa, secondo me, importante: hanno inasprito le pene ai due soggetti. È stata emanata un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di questi due ragazzi. E questo inasprimento, purtroppo, non è così scontato che venga fatto. Stavolta i giudici hanno alzato l’asticella e questa misura cautelare li ha condotti in carcere. E questo non è per giustizialismo, ma perché c’è un punto importante che riguarda i video“.

Infatti, come puntualizza perfettamente l’avvocatessa Claudia Taccani di Oipa (Organizzazione internazionale per la protezione degli animali), lo spropositato dilagare del fenomeno social ha fatto, di riflesso, cambiare la violenza:

Con il fenomeno social, quindi con il web, emerge di più la violenza, quindi, si conoscono situazioni che prima non erano note. È anche vero che la violenza cambia con i tempi, con le mode, con gli strumenti che ci sono. Non è giustificabile alcun tipo di violenza sugli animali, però, con questi nuovi strumenti si creano situazioni dettate dall’emulazione e dalla volontà di farsi notare, proprio perché vengono filmati e pubblicati come se fossero dei videogiochi. È proprio una questione di mancanza di sensibilità e di menefreghismo, probabilmente verso le Istituzioni, verso gli altri“.

Diffondere i video della violenza sui social: quando si parla di pericolosità sociale?

Tutto questo, però, confluisce in un fenomeno ancora più grande. Si tratta della desensibilizzazione verso le altre forme di vita e della potenziale pericolosità sociale di chi mette in atto questi gesti estremamente brutali. Non solo, Taccani mette in guardia anche dal cosiddetto “effetto pecora“:

Capita, talvolta, che sui social vengano pubblicate immagini violente su animali, che, poi, risultano non vere. Dal punto di vista legale, l’attenzione per l’emulazione è sempre dietro l’angolo. Infatti, al mondo social che il filamato sia vero o non vero interessa poco, perché è una realtà virtuale, ma il danno è comunque fatto. Cosa succede? C’è il famoso “effetto pecora” delle persone che possono replicare tali condotte. Senza contare la lesione del sentimento che le persone provano verso l’animale: vedere una capra, un gatto, un cane vivo o morto, finto o reale comunque fa male.

Nel caso delle fake news si potrebbero intraprendere azioni come ad esempio l’istigazione a commettere un reato – punibile penalmente – oppure, come dicevamo prima, in ambito civile, una valutazione di richiesta di risarcimento danni perché sono state fatte vedere delle immagini che hanno leso il sentimento che si ha verso gli animali.

Allo stesso modo, Ricci ha rilevato che a diffondere maggiormente questi video sono proprio i ragazzini, spesso adolescenti o poco più che tali:

Potrei citare tantissimi casi. A partire dagli studenti di un Istituto agrario che, per l’alternanza scuola-lavoro in una stalla, hanno ridotto un agnellino in fin di vita e che, poi, è stato soppresso. È una crudeltà dilagante che ha come unico scopo quello di ottenere like. Cioè, questi ragazzi si staccano dalla comprensione di quello che stanno facendo perché il loro unico obiettivo è farsi conoscere in qualunque modo, con qualunque mezzo. Solo che poi a rimetterci sono gli animali. Non solo, secondo gli studi di Link Italia – un’associazione con la quale Enpa collabora da molti anni e che a sua volta collabora con l’FBI – questo atteggiamento si chiama espertizzazione. Significa che se tu superi il livello di comprensione, di pietà, mitezza, di quello che stai facendo, sei classificato come un soggetto socialmente pericoloso“.

Spettacolarizzazione della violenza: quando intervenire?

Entrambe le avvocatesse, però, sottolineano un punto fondamentale che risiede proprio nella spettacolarizzazione dell’atto crudele, attraverso – appunto – i video diffusi in rete. Per questo i dati analitici di Link Italia vedono in questo genere di reati contro gli animali una specie di esercitazione. È una sorta di preludio a una potenziale violenza, poi, verso gli esseri umani.

In questo senso, è importante che la giurisprudenza si attivi prontamente e riconosca le caratteristiche del soggetto accusato di reati contro gli animali. Tali caratteristiche potrebbero essere indicatrici di una pericolosità sociale, per la quale bisognerebbe attivare misure di contenimento o sistemi di assistenza e recupero dell’accusato.

Aumentano le violenze, ma aumentano anche le denunce. Taccani: “La gente è più coraggiosa e arrabbiata”

Nonostante la buona volontà del legislatore, però, non sempre la legge riesce ad arrivare tempestivamente o agire in maniera significativa per arginare questo tipo di fenomeni. Dunque, a supplire in qualche modo questo ritardo, arrivano le denunce fatte dai privati cittadini e dalle associazioni, come Oipa o Enpa, che mettono in luce, di volta in volta, il caso da valutare.

Quindi, prima non si denunciava? Cosa è cambiato nel modo di fare delle persone? Lo spiega bene l’avvocatessa Claudia Taccani, che afferma:

Sicuramente le persone denunciano di più, sono più coraggiose. Sono anche più arrabbiate quando si verifica una situazione di questo tipo e quindi segnalano non solo ad Oipa, ma in generale alle autorità di competenza. Magari, una volta assistevamo a violenze dettate da ignoranza, dalla cultura poco sensibile per gli animali, concretizzata in soggetti in una certa età. Questi, infatti, ancora vedevano un animale come strumento di lavoro“.

E aggiunge:

Noi come Oipa abbiamo appoggiato il disegno di legge di Michela Vittoria Brambilla, in realtà poi sostenuto da diversi esponenti politici. Questa proposta è un bel pacchetto che comporta una riforma in ambito penale adeguata a una sensibilità moderna e con nuove fattispecie. In risposta anche a queste violenze che si compiono sui social, perciò, con l’aggravante se viene pubblicato il video.

Purtroppo, ci sono degli esponenti politici che invece stanno ostacolando, volendo, addirittura, tornare indietro rispetto all’attuale legislazione e limitare la tutela in ambito penale solo per i tipici animali d’affezione. Per capirci, cane e gatto ed escludendo qualsiasi situazione. Per fortuna la legge 189 del 2004 del codice penale punisce barbarie e uccisioni nei confronti di qualsiasi animale quando sono condotte per crudeltà o senza necessità. Forse dovrebbe essere anche questo un campanello d’allarme. Adesso, la proposta della Brambilla è in cantiere: è approdata in Parlamento e ha passato il vaglio della Commissione Giustizia“.

Reati e aggravanti: il lento movimento della legge. Ricci: “C’è un disvalore giuridico”

La proposta della deputata ed ex parlamentare di Forza Italia, Michela Brambilla, è già un passo avanti nella lotta alla crudeltà contro gli animali, tuttavia, la strada è ancora piuttosto lunga. Il nostro ordinamento prevede delle pene parametrate sul reato stesso, quindi, finché non cambierà il modo di vedere l’animale sarà difficile ottenere pene adeguate.

L’avvocatessa Claudia Ricci, infatti, sottolinea questo punto essenziale:

Il nostro codice ha una proporzione al suo interno fra azioni e pene, quindi è un equilibrio generale delicato. Tuttavia, il nostro codice deriva da una realtà sociale diversa da quella che abbiamo oggi. Pertanto, prima un reato contro un animale veniva percepito in maniera molto più leggera, tant’è che il titolo noto è stato inserito nel 2004 nel codice penale.

È importante, soprattutto, per mantenere questo equilibrio, prevedere anche delle aggravanti specifiche, che aumentino la pena in base alla gravità – appunto – del gesto commesso. Dunque, se il momento dell’uccisione è stato filmato oppure no. Se tale video è stato diffuso oppure no, se è stato fatto da un solo autore o da più soggetti. Sulla scorta di tutti questi dati giurisprudenziali – di cui noi stiamo cercando di dar sempre più notizia – si dovrebbero far inserire all’interno del codice queste aggravanti specifiche.

L’aggravante specifica lavora più che altro nel mondo del pene e questo è importante perché se ci sono delle pene più importanti si possono applicare le misure cautelari, le misure di sicurezza. Purtroppo, il nostro è un sistema dove la caccia è ancora fortemente avallata, tutelata. Una società che, a livello legislativo, permette l’attività venatoria…di che parliamo?“.