Qualcuno potrebbe obiettare, ritenendo la sofferenza una inutile seccatura, frutto di un presunto “peccato” originario che – dai tempi di Adamo ed eva o di Pandora se si preferisce, ha punito orgoglio e curiosità umane, condannandoci a soffrire in eterno e “partorire con dolore”, dove per “parto” possiamo intendere qualsiasi nostra creatura, che si tratti di un cambiamento individuale o di un prodotto del nostro ingegno. La vita è cambiamento per definizione, quindi un continuo alternarsi di nascita e morte, materiale o spirituale che sia; ed è esattamente l’armoniosa oscillazione degli opposti a costituire la vera natura dell’esistenza. Ambivalenze che portiamo incarnate in ognuno di noi a livello psichico e che non possono essere eliminate, così come non si può scindere il lato A di una medaglia dal suo lato B senza ricreare inevitabilmente altri due lati, rigorosamente opposti.
E’ con la sofferenza che impariamo ad affrontare gli ostacoli?
Per aspera ad astra dicevano i latini, con ciò volendo intendere che solo attraversando le difficoltà si può raggiungere il successo, ovvero che per raggiungere il successo occorre essere pronti ad affrontare molti ostacoli, siano essi esterni o interni, perché solo superandoli saremo abbastanza forti da sostenere anche il “peso” del successo.
Il mito come fonte di ispirazione
Il mito, come sempre accade, è fonte di ispirazione e profondissime riflessioni, con interpretazioni talvolta differenti in base al contesto. Sul tema del dolore e della sofferenza, il mito di Pandora e successivamente il racconto di Adamo ed Eva hanno detto molto. Una lettura didascalica e moralistica del racconto vorrebbe una Donna originaria – sia essa Pandora o Eva – che, spinta dalla curiosità, trasgredisce una regola divina e condanna l’intero genere umano a vivere per sempre in compagnia della sofferenza, ma si tratta di una lettura riduttiva del mito, che a una lettura immaginale appare in tutt’altra veste: Pandora, ad esempio, spinta dalla curiosità (da kuros, cura, attenzione), decide di aprire il vaso che Zeus le aveva offerto in custodia con la raccomandazione di non aprirlo mai.
Il duplice significato della speranza
In quel recipiente il re dell’Olimpo aveva rinchiuso tutti i mali degli uomini e aprendolo, Pandora li restituisce agli uomini, non già come punizione ma come inevitabili e preziosi strumenti di cambiamento evolutivo. Solo la speranza (in greco Elpis, timore del futuro) non fece in tempo a uscire prima che il vaso fosse nuovamente richiuso da Zeus. Per i greci infatti la speranza aveva un duplice significato: se da un lato permetteva agli uomini di distrarsi dal proprio destino di sofferenza, dall’altro diventava una sorta di cortina di fumo che impediva di vedere con chiarezza il futuro e la realtà, la verità delle cose, traducendosi quindi in un’atteggiamento fatalistico e remissivo, tutt’altro che benefico. Del resto se i mali fossero stati eliminati dal mondo, neppure la speranza sarebbe servita a granché… e poi, perché guardare al futuro se il presente va magnificamente bene? Ecco quindi che le sofferenze agiscono di fatto come stimoli al continuo progredire.
Dolore e sofferenza non sono la stessa cosa
Crescere attraverso la sofferenza è dunque sin dalle origini un tema ricco di sfumature e complessità, che merita una riflessione approfondita. Per affrontarlo ancora meglio, può essere utile distinguere tra dolore e sofferenza, due termini spesso usati come sinonimi, ma che, se pur correlati, hanno in realtà significati differenti:
- Il dolore ha una componente biologica ed è una risposta oggettiva del corpo a un trauma, sia esso fisico (una ferita, una malattia…) o psichico (una perdita, uno shock…). La parola “dolore” deriva infatti dal latino dolor, che significa “pena” e ha radici nel verbo dolere, che significa “provare dolore”. Si tratta dunque di una percezione sensoriale sgradevole conseguente a un trauma, misurabile e trattabile in modo concreto, ad esempio con farmaci o terapie. In pratica, il dolore è un’esperienza sensoriale relativamente lineare e oggettiva.
- La sofferenza è un’esperienza psichica complessa e soggettiva, che va oltre il semplice dolore fisico e che si manifesta su due livelli, da un lato sul piano psicologico (ansia, depressione, angoscia), dall’altro sul piano esistenziale (ricerca del senso della vita, del significato degli eventi). A livello etimologico la parola “sofferenza” deriva dal latino sufferentia, a sua volta derivante dal verbo sufferre, composto da sub (sotto) e –ferre (portare), che significa “sopportare” o “sostenere un peso.”
Affrontare e superare la sofferenza richiede riflessione e adattamento
La sofferenza implica dunque una percezione personale e individuale del dolore e delle difficoltà della vita. È un’esperienza che può portare a una crescita personale, poiché affrontare e superare la sofferenza richiede riflessione e adattamento e permette di sviluppare resilienza (capacità di trasformare le avversità in occasioni di miglioramento), empatia (capacità di comprendere le esperienze emotive altrui) e saggezza (visione più profonda della vita e delle nostre priorità).
Il dolore è un’esperienza sensoriale
In sintesi, il dolore è un’esperienza sensoriale, la sofferenza è un’esperienza emotiva e psicologica; il dolore ha spesso una durata limitata e può essere alleviato con interventi medici, la sofferenza può persistere nel tempo e richiede un processo di elaborazione più lungo e un approccio più olistico, che può includere psicoterapia, supporto sociale e crescita personale. Riconoscere la differenza tra dolore e sofferenza è essenziale per comprendere come possiamo crescere attraverso le difficoltà. Mentre il dolore è un segnale che qualcosa non va, la sofferenza ci sfida a trovare un significato più profondo nelle nostre esperienze dolorose. Attraverso questo processo, possiamo scoprire nuove risorse interiori, sviluppare una maggiore comprensione di noi stessi e degli altri, e costruire una vita più ricca e significativa.
Letizia Ciancio, psicologa del lavoro e autrice de Il cambiamento possibile, Essere padre essere madre