È morto suicida in carcere Vincenzo Urbisaglia, l’81enne accusato di aver ucciso la moglie Rosetta Romano, di 73, a Maschito, in provincia di Potenza. A darne notizia, come conferma l’Ansa, il segretario del Sippe, il Sindacato di Polizia Penitenziaria Aldo Di Giacomo, secondo cui il suo sarebbe il 55esimo suicidio dall’inizio dell’anno all’interno delle carceri italiane.

Morto suicida in carcere a Potenza Vincenzo Urbisaglia

L’81enne, ex operatore ecologico in pensione, sarebbe morto impiccato all’interno della sua cella. Secondo Aldo Di Giacomo non era “molto lucido”; di conseguenza, il carcere, per lui, “non era molto indicato”.

Questa è l’Italia dei controsensi, in cui chi uccide una donna sulle strisce senza patente va ai domiciliari ed un nonno di 81 anni chiaramente fuori senno va in galera,

ha dichiarato nelle scorse ore nel dare la notizia della sua morte, sottolineando che “le carceri stanno vivendo il peggior momento nella storia della Repubblica”. A riportarlo, oltre all’Ansa, è il quotidiano Today. Con quello di Vincenzo Urbisaglia il numero dei suicidi in carcere, dall’inizio dell’anno, è salito, in effetti, a 55. Si tratta di dati allarmanti, che invitano alla riflessione.

Chi era l’81enne, accusato dell’omicidio della moglie a Maschito

L’81enne, residente a Maschito, in provincia di Potenza, si trovava in carcere dalla fine di giugno, quando era stato arrestato per l’omicidio della moglie Rosetta Romano, di 73 anni. Stando a quanto ricostruito finora, l’avrebbe strangolata all’interno della loro abitazione di via Lucania al culmine di un violento litigio.

Poi l’allarme, l’arrivo dei carabinieri sul posto e il ritrovamento del corpo dell’anziana, privo, almeno ad una prima occhiata, di traumi esterni. Gli amici e i parenti erano stati ascoltati affinché potessero parlare di eventuali dissidi tra i due: l’obiettivo era ricostruire l’esatta dinamica dei fatti e arrivare a una risoluzione del caso. Ora la tragedia nella tragedia, che scuote nuovamente la comunità locale a cui la coppia apparteneva.

È il 55esimo suicidio nelle carceri italiane da inizio anno

Qualche giorno fa, in nemmeno 24 ore, ad uccidersi erano stati tre detenuti sotto i 35 anni d’età. Il primo era recluso a Livorno: secondo le ricostruzioni avrebbe perso la vita in ospedale dopo un tentativo di suicidio in cella; il secondo a Firenze; il terzo a Pavia.

Originario della provincia di Salerno, quest’ultimo aveva appena compiuto 21 anni e avrebbe finito di scontare la sua pena nel 2027: si sarebbe impiccato in serata, approfittando di un momento di distrazione degli agenti della penitenziaria, sempre più pochi rispetto al numero crescente dei detenuti.

Anche tra loro, tra gli “addetti ai lavori” si registrano suicidi. Per questo c’è chi parla degli istituti penitenziari come “luoghi di morte” anziché di rieducazione e risocializzazione. È un tema particolarmente caldo nell’ultimo periodo. Un tema che preoccupa.

Ci si chiede come sia possibile che persone come l’81enne morto a Potenza possano finire in cella e altre restare in libertà nonostante siano, potenzialmente, più pericolose; come sia possibile che persone con problemi psichici vengano detenute e altre no. Sono solo alcuni dei tanti problemi che si registrano in questo campo.

Problemi che anche il decreto al vaglio del Consiglio dei ministri, il cosiddetto “Svuotacarceri” proposto dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, rischia di non riuscire a risolvere. Ne abbiamo parlato in un’intervista esclusiva con la coordinatrice nazionale di Antigone, Susanna Marietti, facendo il punto sulla situazione, lo scorso 6 luglio. Due giorni dopo, l’ennesimo suicidio, l’ennesimo campanello d’allarme.