Il regista Richard Linklater torna sulle scene con un nuovo film scritto insieme all’attore Glen Powell, che interpreta anche la parte del protagonista. “Hit Man – Killer per caso” è stato presentato in anteprima, fuori concorso, all’80ª edizione del festival di Venezia ed è stato distribuito negli Stati Uniti sulla piattaforma di streaming Netflix lo scorso 7 giugno, mentre il 4 luglio è uscito nei principali cinema italiani. La storia è tratta dalla vera vita dell’agente Gary Johnson di New Orleans, che per anni ha collaborato con la polizia locale come finto sicario per incastrare chiunque volesse assoldarlo per fargli assassinare qualcuno.

“Hit Man – Killer per caso”, recensione

Gary Johnson (Glenn Powell) lavora come insegnante di psicologia e filosofia in un college di New Orleans. È un grande appassionato di Nietzsche, al punto tale che ha chiamato i suoi due gatti Es ed Ego. Si è separato dall’ex moglie ormai da tempo, la quale è incinta del suo nuovo compagno. È un individuo rimasto sostanzialmente solo, ma non è una solitudine che subisce. Piuttosto la sceglie, amando la compagnia di se stesso passata a correggere i compiti dei suoi studenti e a leggere saggi e romanzi. Nel tempo libero collabora con la polizia come consulente informatico.

Ma un giorno gli viene chiesto di sostituire un agente per lavorare sotto copertura, fingendosi un killer. La richiesta sovviene a tutti alquanto strana, perché Gary non ha esattamente l’aria di qualcuno che incute terrore. Pur essendo di bell’aspetto per notarlo devi sforzarti proprio tanto: è alto poco più di un metro e ottanta, ha la carnagione chiara, due bellissimi occhi verdi, un sorriso bianchissimo dalla dentatura perfetta e il fisico atletico. Avrebbe tutte le caratteristiche per suscitare un fascino irresistibile, ma si concia talmente male che la sua avvenenza proprio non la si riesce a notare. Porta i capelli, castano chiaro, con un ridicolo taglio a caschetto con la riga di lato. Indossa degli occhiali dalla montatura anonima e si veste come un catechista; polo a maniche corte, tutte uguali, a righe bianche e senape, pinocchietti di jeans e sandali da uomo. A guardarlo conciato in quel modo sembra il classico tizio che quando vede un’ape scappa via urlando. Lui stesso non si sente affatto credibile, ma non può rifiutare l’incarico. Per cui si lancerà con poca convinzione nell’impresa fingendo di essere un meschino criminale, che non gli somiglia affatto.

Incredibilmente riuscirà nell’incarico, incastrando un potenziale cliente che voleva accordarsi per fargli uccidere qualcuno. E così, da allora, la polizia lo farà lavorare stabilmente sotto copertura, sempre come finto sicario. Questa nuova avventura arrivata di colpo nella sua vita noiosa gli darà la possibilità di spezzare quella routine opprimente che lo stava schiacciando, appiattito dal peso della monotonia. Si dedicherà talmente tanto a questo secondo lavoro, che comincerà a studiare dei travestimenti credibili e sempre nuovi per ogni sospetto che dovrà incontrare. Trucchi, parrucche, costumi, dentiere, accenti, personalità diversificate di volta in volta nel minimo dettaglio. Impegnandosi a fondo incastrerà praticamente tutti quelli che richiederanno i suoi servigi da assassino su commissione.

Ma proprio quando le cose sembreranno divertirlo e andare per il verso giusto arriverà Madison Masters (Adria Arjona), una giovane ragazza disperata che per scappare dal marito violento non vedrà altra soluzione che assoldare qualcuno per farlo uccidere. Gary, che in quel momento sta impersonificando il personaggio di Ron, sicario duro ma attento e sensibile, capitolerà dinnanzi alla bellezza di Maddy. Ed effettivamente lei è splendida: portoricana dai lunghi capelli castani, che con due grandi occhi marroni, con lo stesso sguardo di un cucciolo, supplica di essere salvata. Ha un viso fatto per essere guardato, con una bocca dalle labbra morbide e carnose. Un corpo perfetto che la fa sembrare una modella completerà il quadro dinnanzi al quale Gary, adesso Ron, non potrà far altro che cadere in ginocchio precipitando in un vortice di eventi che risucchierà la sua quotidianità in una spirale di guai disastrosi.

“Hit Man – Killer per caso”, critica

Richard Linklater, regista del grande successo “Prima dell’Alba” e dei successivi due sequel interpretati da Ethan Hawke e Julie Delpy, firma questa nuova pellicola chiamata “Hit Man – Killer per caso” scritta insieme al protagonista Glenn Powell. La sceneggiatura si basa sulla vera storia di Gary Johnson, agente di polizia dell’ufficio del procuratore distrettuale di New Orleans, che dalla metà degli anni ’60 lavorò come infiltrato per le forze dell’ordine locali fingendosi un sicario e che dopo una vita in solitudine dedicata alla carriera si innamorò perdutamente di una donna che fu incaricato di proteggere. Le avventure di Gary Jhonson furono già raccontate nel 2001 in un articolo del Texas Monthly dal giornalista Skip Hollandsworth, col quale Linklater scrisse la sceneggiatura del film Bernie uscito nel 2011.

La storia, oltre a prendere spunto dalla vera vita di Johnson, si ispira alle idee di Nietzsche tra superuomo, essere, ego ed alter ego. Nello specifico il protagonista propaganda ai suoi studenti il pensiero nietzschiano del vivere l’esistenza al massimo delle proprie potenzialità, per elevarsi a un livello superiore del proprio io. Ma tutto questo in una prima fase non incontra le giornate del personaggio principale che, invece, vive quotidianamente appiattito dalla noia esistenziale a un punto tale da non rendersene neanche conto. La possibilità di impersonificare dei ruoli dalle personalità così distanti dalla sua, risveglia in lui un bisogno di scoprire dei nuovi lati di sé e una necessità di azione per allontanarsi da quell’individuo banale di cui troppo a lungo ha passivamente vestito i panni e che non lo rappresenta più, diventando una specie di Clark Kent con Superman.

Il film è una sorta di elementare spiegazione per bambini, alla maniera della commedia, di “Così Parlò Zarathustra” e dell’esistenzialismo filosofico. Ma è proprio qui che casca l’asino: il volersi addentrare in un progetto davvero troppo ambizioso per un copione limitato, mediocre e del tutto prevedibile. Tentare di rappresentare l’evoluzione dell’oltreuomo con una storiella romantica dal finale eccessivamente stucchevole e poco realistico, è un po’ come voler mettere in scena “Il Mercante di Venezia” per la recita della parrocchia. Non so davvero cosa ne avrebbe pensato Nietzsche, ma posso facilmente immaginarlo (…) ed è proprio per questo che il clamore, il plauso e i larghi consensi dei miei colleghi giornalisti mi ha lasciata a bocca aperta. Chi ha parlato di genialità, chi di originalità, chi lo ha definito un capolavoro filosofico travestito da commedia. Mi chiedo seriamente cosa ci sia di originale in una trama vista e rivista, girata come una serie tv comedy crime di serie b.

Se già dai primi istanti ho capito subito che non avrei assistito a un capolavoro del cinema, quantomeno mi aspettavo di divertirmi mediamente. E invece dopo la prima mezz’ora ho iniziato anche a trovarlo noioso, per finire col mal sopportarlo nel secondo tempo che è precipitato in una spirale di assurdità ridicole e scarsamente probabili. Il finale poi, sempliciotto e mieloso, non saprei come altro definirlo senza fare spoiler. “Hit Man – Killer per caso” è seriamente uno dei peggiori film visti negli ultimi anni e ciò che mi ha infastidita di più è la presunzione di voler fare qualcosa di impegnato, toccando addirittura temi filosofici, ma a un livello veramente puerile. Due virgola cinque stelle, ad essere generosi.