Donatella Di Pietrantonio trionfa con un ampio margine al Premio Strega 2024. Fin dall’inizio considerata la favorita, la scrittrice, già vincitrice dello Strega Giovani 2024, ha ottenuto 189 voti per “L’età fragile” (Einaudi).
“L’età fragile”, di cosa parla?
Il romanzo, dedicato alle sopravvissute, esplora il rapporto tra una madre, Lucia, e sua figlia ventiduenne Amanda, sfidando gli stereotipi sugli anni e sulla sicurezza dei piccoli centri di provincia, con la pandemia come sfondo. In questo libro, la scrittrice, che continua a esercitare la professione di dentista pediatrica, affronta per la prima volta anche il tema della violenza di genere, richiamando un fatto di cronaca nera avvenuto nel 1997 nella sua terra, l’Abruzzo.
Recensione del libro
“L’età fragile” di Donatella Di Pietrantonio (Einaudi) esplora la resilienza nella vita e la fragilità come elemento intrinseco dell’essere umano: la vulnerabilità è il filo conduttore che lega tutti i personaggi, sia nel passato che nel presente.
Le vite di Lucia e Doralice, amiche dall’infanzia con padri amici, sono segnate da fratture. Hanno vissuto un’adolescenza serena, fino a una notte di agosto nei loro vent’anni che cambia tutto irreversibilmente. Inconsapevoli, erano sul punto di perdere la loro giovinezza.
È la scoperta della paura e della minaccia a farle crescere improvvisamente. In quella notte, quando Doralice scompare dal campeggio del padre Osvaldo insieme a due ragazzine di Modena, il mondo di Lucia sprofonda in un’oscurità che segna il passaggio all’età adulta. Da quella notte fatta di attesa impotente, domande, ricerche nel bosco, ritrovamenti e spari, nessuno ne esce indenne.
La falesia di Pietra Rotonda, un tempo luogo di giochi, avventure infantili, confidenze e segreti, si rivela teatro di violenza e orrore. “Ammazzatelo” è scritto sui muri che un tempo risuonavano di risate e ora ospitano l’odio per un mostro inaspettato, in un campeggio che prima evocava vacanze e ora è desolato e sotto sequestro.
Sopravvissuta, Doralice lascia il paese in cerca di un nuovo equilibrio, mentre Lucia rimane prigioniera del ruolo di spettatrice e comprimaria, incapace di riprendere la sua vita, oppressa dal senso di colpa per aver lasciato sola l’amica quel giorno, per aver scelto di andare al mare. Suo padre vive con il ricordo degli spari che lo svegliano ogni notte. Uscire dal buio significa ritornare alla vita spegnendosi, sotto il Dente del Lupo.
Anche il paese, al centro della cronaca, lentamente torna al silenzio. Lucia non riesce ad avvicinarsi a Doralice, vigliacca e piena di vergogna, non trova il coraggio di affrontare il dolore dell’amica, lascia scorrere il tempo e poi è troppo tardi per recuperare il legame perduto, rimanendo con i propri silenzi. Lucia cresce, diventando una madre inquieta, ferita dal suo senso di inadeguatezza: una donna che teme sua figlia fin da quando la porta a casa, che non sa come gestirla da piccola e non riesce a comprenderla da grande. Lucia disegna cuori sui biglietti per poi cancellarli, prepara colazioni di cui si pente, osserva senza sapere come agire, paralizzata anche con lei.
Lucia, donna di provincia, rimane legata al suo piccolo mondo, mentre sua figlia Amanda sogna di andarsene e riesce a studiare a Milano, che per lei rappresenta l’Europa. Parte carica di progetti, supponenza, bagagli e libri, piena di speranze per una città che si aspetta le dia tutto, forse troppo.
Quando Amanda ritorna a casa a causa della pandemia, Lucia è sorpresa di trovarla svuotata, svogliata, cambiata: la figlia non studia, non mangia, non si lava, e si chiude in camera. “E dopo che faccio?”.
Lucia vede per la prima volta Amanda come una creatura vulnerabile, lontana dalla ragazza saccente che era partita mesi prima. Rivede in lei se stessa giovane, le sue ferite, la sua stessa fragilità. Scopre che anche per Amanda il luogo delle speranze si è rivelato essere un luogo di paura, e un episodio di violenza ha bloccato tutto. Come accadde a Lucia nel passato, Amanda scopre che un posto amato e desiderato può farle del male.
Sono cicatrici simili che bruciano, la stessa giovinezza catapultata nella realtà, come un destino ereditato, un lascito di umanità che segna allo stesso modo a distanza di anni, ma che fa parte del percorso della vita, ricco di crepe, disillusioni e indecisioni.
Nella sua casa, prigioniera di un presente dal quale non riesce a liberarsi, con relazioni che non riesce a sciogliere, i maglioni dell’ex marito ancora nell’armadio e una figlia che ha messo la sua vita in pausa, Lucia deve affrontare un altro tipo di eredità. Il padre vuole lasciarle i terreni abbandonati dove una volta c’era il campeggio, proprio il luogo in cui tutto è accaduto. Anche il padre cerca di barcamenarsi tra le sue paure e la sua sopravvivenza, avvicinandosi alla fine: la vecchiaia è difficile da accettare e diventa un modo per regolare dei conti.
Tra i bisogni e le paure reciproche, c’è molto silenzio, ci sono non detti colpevoli. Le parole che aiutano a vivere sono fragili, diceva Eugenio Borgna, e sono quelle che dovremmo riscoprire o ricreare quando il destino ci pone di fronte al dolore e alla disperazione, ma sono spesso avvolte nel silenzio.
Se è vero che i luoghi non hanno colpe, la vergogna cala su tutti i protagonisti, portandoli a uno stato di incomunicabilità. L’età fragile è una storia di mani che non trovano il coraggio di alzarsi in un saluto, di frasi che rimangono in gola, di abbracci che non si ha la forza di dare.
Dopo “L’Arminuta” e “Borgo Sud”, Donatella Di Pietrantonio continua a esplorare i temi universali della famiglia, dell’amicizia, della vecchiaia e dei legami con i luoghi di origine, trattandoli con la sua capacità di illuminare le zone d’ombra dei percorsi interiori, dando spazio al vuoto e catturando ogni sfumatura, fino alle più intime.
La sua scrittura sa governare i sentimenti, far parlare i rimpianti e raccontare tutta la complessità dei nostri errori. Donatella Di Pietrantonio narra la nostra fragilità, la difficoltà di gestire l’insicurezza e i sottili confini del tempo, che illude di poter cancellare i danni. In realtà, ci sono domande che rimandano ad altre domande, silenzi che rispondono a silenzi e cerchi che non si chiudono, forse solo la propria terra può sanare con la sua rinascita, dimenticando e ricostruendo una speranza.