Il cinema può cambiare la Storia. Dovevano esserne convinti tutti quei registi che, in piena Seconda Guerra Mondiale, imbracciarono non i fucili ma le cineprese per filmare, documentare, raccontare quella tragedia e la speranza della sua fine. Doveva esserne convinto anche Vittorio De Sica, che con un film intitolato La porta del cielo riuscì addirittura a salvare la vita di circa 300 persone perseguitate dal regime nazifascista.

Una storia, quella della realizzazione di questa pellicola poco conosciuta ma fondamentale di uno dei maestri del Neorealismo italiano, che meriterebbe a sua volta un film.

La porta del cielo“, il film che salvò Vittorio De Sica dalla Repubblica di Salò

Prima di Sciuscià e di Ladri di biciclette c’è stato La porta del cielo. Un titolo che al grande pubblico non dirà molto, essendo noto solo ai cultori del Neorealismo e di quel Vittorio De Sica che oggi, 7 luglio 2024, avrebbe compiuto 123 anni. Eppure, di quella stagione difficile e dolorosa quanto straordinaria per il cinema italiano, quella pellicola rappresenta ancora oggi uno spaccato perfetto.

Vittorio De Sica.

Erano anni in cui la libertà di poter esprimere le proprie idee si pagava a caro prezzo e in cui registi destinati a scrivere la Storia della Settima Arte decisero di sfidare quel rischio. Vinsero quella sfida, e dalle loro opere che accompagnarono la Resistenza partì la ricostruzione del nostro Paese dalle macerie della dittatura e della guerra.

Era il 1944 e Vittorio De Sica aveva già realizzato una manciata di film. Non era ancora il regista capace di conquistare quattro premi Oscar ma era comunque molto apprezzato dal regime che lo voleva con sé nella Repubblica di Salò per dar vita al progetto di ‘Cinelandia’, la risposta repubblichina a Cinecittà.

De Sica non aveva alcuna intenzione di lavorare al servizio di fascisti e nazisti e allora, con un colpo di teatro, si inventò un accordo già preso con il Vaticano per dirigere una non meglio specificata pellicola.

Il bluff ebbe successo ma ora si presentava un problema: trovare un film da girare per tenere a bada i funzionari di Salò. In effetti, un film finanziato con capitali provenienti da ambienti cattolici era effettivamente in produzione, ma De Sica non vi era affatto coinvolto!

Lo era, invece, Maria Mercader, sua amante e futura moglie, che riuscì a imporlo come regista. A sua volta, De Sica portò a bordo del progetto anche Cesare Zavattini, in veste di sceneggiatore.

De Sica Mercader
Maria Mercader con il marito Vittorio De Sica in un’immagine d’archivio del 1961 a Los Angeles.

La lavorazione alla Basilica di San Paolo durò un anno per salvare 300 ebrei e perseguitati politici

La trama della pellicola ruotava intorno a un gruppo di pellegrini in viaggio su un treno diretto al Santuario della Madonna di Loreto. I protagonisti sono malati che intendono chiedere alla Vergine il miracolo della guarigione o persone angosciate da questioni personali che richiedono provvidenziali interventi salvifici. Alla fine, pur giungendo a destinazione, non vedranno esaudite le loro richieste ma saranno in grado di valutare le proprie esistenze in un modo diverso che gli permetterà di affrontarle con uno spirito nuovo.

Massimo Girotti
Massimo Girotti.

Del cast, oltre alla Mercader, facevano parte anche Massimo Girotti e alcuni attori molto noti all’epoca come Giulio Calì, Roldano Lupi e Marina Berti.

Oltre a loro, però, De Sica coinvolse una serie di persone comuni, tra cui amici e vicini di casa, perseguitate dai nazifascisti o perché ebrei o perché oppositori politici o, ancora, perché renitenti alla leva militare. Questi andarono a ricoprire i ruoli più disparati, dalle comparse – il cui numero arrivò a una cifra enorme per l’epoca e per un film simile – ai tecnici della troupe.

Il regista nato a Sora nel 1901, in accordo con la Chiesa, diede loro rifugio e protezione all’interno delle mura della Basilica di San Paolo fuori le mura a Roma, dove venne ricostruito il santuario di Loreto. Inoltre, con l’abilità che gli era propria, riuscì a protrarre le riprese per oltre un anno, girando con pellicola scaduta o, addirittura, senza pellicola, facendo soltanto finta.

Insomma, un po’ Oskar Schindler – la cui storia, incredibilmente simile a questa, è stata raccontata da Steven Spielberg in Schindler’s list – un po’ la Penelope di Ulisse, che fa e disfa la sua tela per tenere a bada i Proci, in attesa del suo sposo.

Solo quando gli Alleati fecero il loro ingresso a Roma e la guerra era ormai prossima alla sua conclusione, le riprese de “La porta del cielo” giunsero alla fine.

La porta del cielo” scontentò il Vaticano che lo fece sparire, ma il film di De Sica aveva già fatto la Storia

Ciò che resta del film sono 88 minuti di girato di cui gli ambienti vaticani non andarono particolarmente orgogliosi.

La porta del cielo De Sica
Vittorio De Sica.

La scelta di De Sica e Zavattini di mostrare il ‘miracolo’ come una presa di coscienza degli individui più che come un intervento divino non trovò, infatti, i favori dei finanziatori. Una scelta che dispiacque molto al futuro regista di “Ladri di biciclette“, “Umberto D.” e “La ciociara“.

Ma il film è diventato più grande della storia in esso raccontata.

La risposta del cinema e della cultura alla frase ‘Arbeit macht frei’ (in tedesco: ‘Il lavoro ti rende libero’), che i tedeschi scrivevano all’ingresso dei loro lager. Un irridente e vergognoso inganno verso gli ebrei, che dava loro una flebile speranza di sopravvivenza dove, invece, non ve n’era traccia. De Sica diede a circa 300 perseguitati da quell’orrore proprio quella libertà, attraverso il lavoro ad un film praticamente inesistente. L’ironia e il genio della Storia al suo massimo.