Lo scorso 27 giugno è uscito nelle principali sale italiane il film “Shoshana”. Il regista Michael Winterbottom torna al cinema, a distanza di cinque anni dal suo ultimo lungometraggio, per raccontare la nascita del conflitto israelo-palestinese. Dal 1917 al 1947: dall’insediamento degli inglesi a Gerusalemme al voto dell’Onu per il piano di ripartizione della Palestina. Winterbottom sceglie di ripercorrere la cronologia di una delle vicende più complicate e drammatiche della storia moderna tramite la vita di Shoshana Borochov, figlia di Ber Borochov fondatore del sionismo socialista.

Da cosa deriva la trama di “Shoshana”

È il 22 dicembre del 1917 e gli inglesi, sotto il comando del generale Allenby, si insediano ufficialmente a Gerusalemme, liberata dal dominio turco. Uno degli imperi più vasti e più longevi della storia sta per essere messo in ginocchio una volta per tutte: l’impero ottomano, andando sempre più vicini alla fine della Prima Guerra Mondiale, ha i giorni contati. Ha ufficialmente perso il controllo della Palestina, che adesso è in mano agli inglesi. Il Primo Alto Commissario verrà nominato nel 1920 e sarà Herbert Louis Samuel, politico britannico ebreo e sionista. Il sionismo fu fondato durante l’800 da Theodor Herzl e Max Nordau, movimento che, basandosi sulle sacre scritture della Bibbia ebraica, auspicava l’istituzione dello Stato di Israele, terra promessa da Dio, in Palestina per riunire tutti gli ebrei sparsi nel mondo in un unico territorio ritenuto sacro, convinti gli spettasse di diritto.

In questo scenario, tra la metà e la fine del 1920 più di centomila giudei immigreranno nelle terre palestinesi: uno di questi sarà Shoshana Borochov. Figlia del defunto Ber Borochov, il fondatore del sionismo socialista di ispirazione marxista, come il padre sogna anche lei una Palestina dove ebrei e arabi possano coesistere, convivendo serenamente. Ma l’avvento del popolo sionista non verrà preso bene dai palestinesi che, sentendosi minacciati dal progetto di occupazione, inizialmente si opporranno attaccandoli a Hebron. Oltre sessanta ebrei verranno assassinati e il governo inglese agirà prontamente inviando cinquecento nuove reclute alla polizia palestinese, con la promessa di garantire uno spazio protetto dove gli immigrati di religione ebraica possano trovare rifugio.

Arrivati al 1935 i sionisti approdati in Palestina ormai saranno diventati mezzo milione e questo creerà non poche rivolte da parte della popolazione araba. Dopo un attentato durante il quale perderanno la vita sei ebrei un sionista di nome Shlomo Ben-Yosef, insieme ad altri due compagni, nell’aprile del 1938 deciderà di vendicarsi attaccando un autobus che stava trasportando degli arabi. Verrà poi arrestato e condannato a morte, ma questo non basterà a fermare ciò che purtroppo è già iniziato: un crescendo di violenza senza precedenti che non porterà mai più a un possibile accordo tra i due popoli. L’Irgun, organizzazione terroristica fondata nel 1931 da un gruppo di sionisti tra i quali Avraham Stern, si contraddistinguerà per la ferocia e la brutalità dei suoi attacchi ai danni del popolo arabo. La polizia palestinese capitanata dagli inglesi porterà avanti una dura lotta, con una serratissima caccia all’uomo, per annientare l’Irgun e i suoi assalti perpetrati medianti bombe e granate. Per arrivare, infine, al novembre 1947 quando l’Onu voterà per creare due Stati separati, Israele per gli ebrei e il resto della Palestina per gli arabi, sperando in una tregua che possa portare una pace che però non sarà veramente mai raggiunta.

“Shoshana”, critica

Il regista britannico Michael Winterbottom sceglie la vera storia di Shoshana Borochov e il suo coinvolgimento sentimentale con l’inglese Thomas James Wilkin, sovraintendente del dipartimento investigativo criminale della polizia palestinese, durato undici anni tra il ’33 e il ’44, per raccontare i momenti cruciali della nascita del conflitto israelo-palestinese. Per quanto questo film, “Shoshana”, ruoti intorno alla storia d’amore tra i due protagonisti non perde d’efficacia nel racconto del fenomeno del terrorismo sionista e della controversa figura di Avraham Stern. La crudezza di alcune scene non fa alcun tipo di sconto agli ebrei, nonostante quegli attacchi terroristici avvennero contemporaneamente agli inizi dell’olocausto. Neppure la figura della protagonista viene dipinta come una sorta di martire pacifista, anzi. I lati di ombra del carattere e della personalità caparbia della Borochov vengono sottolineati, rappresentando anche una delle sue più grandi colpe: l’avere sulla coscienza la morte di uomo segnalato da lei stessa all’Irgun come un informatore della polizia.

Assistere alla violenza di alcune scene di questo lungometraggio è stato parecchio difficile e mi ha istintivamente portata a una riflessione: non esistono comunità che siano realmente vittime. Il seme del male è disseminato in tutti i popoli; in ciasciuno di essi gli individui si distinguono tra buoni e malvagi, è questa l’unica distinzione che conta. E proprio mentre l’infernale crudeltà di Hitler torturava milioni di persone per la sola colpa di appartenere a una religione anziché a un’altra, dei fedeli dello stesso credo erano liberi di far saltare in aria, o mutilare, degli esseri umani colpevoli soltanto di essere nati in una terra ambita. Nonostante siano passati ottantasei anni dal 1938 ancora oggi siamo qui a parlare di guerre che non hanno mai veramente cessato di esistere ricordandocene solo quando ci fa comodo, dedicandogli dei pensieri sporadici di rabbia e compassione. Ma come disse il professor Claudio Vercelli, storico italiano contemporaneista: “i pensieri rimangono sospesi nel vuoto se non incontrano delle trasformazioni sociali”.

In conclusione, il mio voto per questa pellicola è di tre virgola nove stelle su cinque.