Non sempre è facile riconoscerlo, ma sul posto di lavoro si può subire mobbing ed è, quindi, molto importante sapere cosa fare. Il mobbing rappresenta una delle peggiori esperienze di un lavoratore dipendente, ad opera del datore di lavoro, colleghi o superiori.
In questo termine vengono racchiusi comportamenti vessatori e reiterati nei confronti di un lavoratore.
Ci sono alcune caratteristiche individuate per qualificare una condotta come mobbing.
Nel testo, andremo a vedere quali sono e spiegheremo cosa deve fare un lavoratore nel caso in cui si verifichino condotte simili.
Cos’è il mobbing sul lavoro
Con il termine mobbing si fa riferimento a tutto l’insieme dei comportamenti aggressivi e anche persecutori sul posto di lavoro, con il solo scopo di colpire ed emarginare la vittima.
Mobbing, dall’inglese to mob, significa attaccare o aggredire. Si tratta di un termine che è entrato già da diverso tempo nel nostro linguaggio comune, proprio per indicare i comportamenti aggressivi e persecutori da parte dei colleghi, superiori e anche dallo stesso datore di lavoro.
La giurisprudenza ha definito il fenomeno come una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo. Le stesse condotte sono diverse e non sempre è facile riconoscerle. Per esempio, il lavoratore potrebbe ritrovarsi ad essere isolato all’interno dell’ambiente lavorativo o divenire bersaglio di battute, pettegolezzi, insulti. Ma potrebbe anche trovarsi a dover gestire da solo carichi di lavoro intollerabili o vedersi privato di determinati benefit aziendali.
Come riconoscere il mobbing
Il primo passo per contrastare il mobbing è saperlo riconoscere. Quindi, è bene sapere quali sono i pareri della giurisprudenza e della Cassazione, i quali hanno individuato quelli che possono essere i primi campanelli di allarme per capire se si è potenzialmente vittime di mobbing.
Quali sono?
- Ambiente di lavoro ostile;
- Demansionamento;
- Privazione di compiti;
- Provvedimenti disciplinari per ragioni strumentali;
- Umiliazioni e pressioni psicologiche;
- Tensione costante;
- Atti legittimi, ma appartenenti ad una strategia di persecuzione e isolamento professionale come negazione di ferie e permessi e privazioni di collaboratori;
- Emarginazione personale e professionale;
- Inattività forzata;
- Discriminazione professionale manifestatamente ingiustificata per promozioni o aumenti retributivi.
Cosa fare se si subisce mobbing sul lavoro
Nel momento in cui quei campanelli d’allarme fanno capire di essere effettivamente vittime di mobbing, prima di tutto, bisogna muoversi per tempo e non rimandare nell’attesa che qualcosa possa cambiare.
Il primo passo è raccogliere prove anche trovando testimoni pronti ad aiutare e rivolgersi ad un legale. Si può anche chiedere all’azienda, tramite una comunicazione formale l’interruzione dei comportamenti mobbizzanti.
Prima di procedere con l’iter legale, il lavoratore può anche chiedere che la fonte di mobbing venga rimossa. Qualora sia lo stesso datore di lavoro ad assumere simili condotte, il lavoratore può chiedergli di cambiare atteggiamento o, se sono i colleghi, di cambiare sede di lavoro.
C’è, infine, un’ultima via da percorrere: dare le dimissioni per giusta causa. Si tratta di una via estrema da intraprendere solo quando non si riesce a trovare una soluzione.
Come denunciare e chiedere il risarcimento del danno
Il lavoratore vittima di mobbing può chiedere il risarcimento del danno subito da parte dell’azienda. Questa, ovviamente, può anche difendersi e provare di avere adempiuto all’obbligo di proteggere l’integrità psico-fisica del dipendente.
Per richiedere il risarcimento, il lavoratore deve provare di aver subito la lesione dell’integrità psico-fisica e il nesso di causalità tra l’evento e l’espletamento della prestazione lavorativa.
L’azione per chiedere il risarcimento si prescrive in 10 anni, che decorrono dalla manifestazione del danno. Il lavoratore che intende richiedere il risarcimento deve rivolgersi ad un legale e raccogliere prove e testimonianze circa l’accaduto.