Sono passati tre giorni dalla sfida con la Svizzera che ha decretato l’eliminazione dell’Italia dagli Europei, ma la delusione resta più viva che mai. Spalletti non è riuscito a fare il miracolo che tutti si aspettavano e le motivazioni sono molteplici. Lo stato del calcio italiano, in questo momento è questo e adesso Gravina dovrà ragionare seriamente sul futuro. Per commentare l’eliminazione dell’Italia da Euro 2024 e il futuro di Spalletti, Gabriele Pin, ex calciatore e allenatore che come assistente di Cesare Prandelli ha allenato la Nazionale dal 2010 al 2014, è intervenuto in esclusiva a Tag24. 

Euro 2024, disastro dell’Italia di Spalletti: Pin a Tag24

Svizzera-Italia non finisce più e gli strascichi dell’eliminazione agli ottavi di finale di Euro 2024 ce li porteremo ancora avanti a lungo. Visto il fallimento tecnico e progettuale, ora sono in molti a chiedere a gran voce le dimissioni di Gravina in primis, e di Spalletti subito dopo. Le polemiche non si arrestano e adesso è tempo di ragionare sul futuro. Per commentare leliminazione dell’Italia da Euro 2024 e il futuro di Spalletti, Gabriele Pin, ex calciatore e allenatore che come assistente di Cesare Prandelli ha allenato la Nazionale dal 2010 al 2014, è intervenuto in esclusiva a Tag24. 

L’eliminazione dell’Italia da Euro 2024 ha deluso tutti, ma come siamo arrivati a questo punto?

“Bella domanda! Non è facile dire come siamo arrivati qui dall’esterno, bisognerebbe essere all’interno del gruppo per avere le idee chiare. La cosa più deludente è stato l’atteggiamento. Nello sport si può anche uscire per un episodio sfortunato o perchè gli altri fanno meglio di te, ma non così. Questa squadra è uscita invece da Euro 2024 senza neanche provarci, questa è la sensazione. Io ho visto un’Italia senza leader, senza personalità. Guardando le partite ci sono altre Nazionali, tra le favorite, che subiscono gol e da cui vedi una reazione. Con l’Italia non è successo, non ho visto carattere, nervosismo, nè alcun tipo di reazione. Invece ho visto facce di persone che non ci credevano e atteggiamento passivo”.

Il fatto che non siano arrivate le dimissioni da parte di Gravina, prima ancora che di Spalletti, come la vede?

“Ho lavorato con Prandelli e tutti sappiamo come è andata a finire in una situazione simile. Lì dipende molto dalla persona, dalla sua etica. In Italia le dimissioni le danno in pochi, non se se sia una nostra mentalità. Lavorando molto all’estero, negli ultimi anni, io la vedo diversamente. Quando c’è un fallimento tecnico e programmatico come questo, chi è a capo si deve assumere le responsabilità. Che siano dimissioni o ridimensionamento, non sta a me dirlo, ma qualcosa va a fatto. Invece si scarica tutto su giocatori e allenatore, che tra l’altro è arrivato da poco. Questo è un gioco all’italiana, ma chi è lì da qualche anno e gestisce dovrebbe capire. Troppo facile prendersi i meriti quando le cose vanno bene. Signori si nasce, non si diventa”.

Nei confronti di Spalletti invece ha fiducia?

“Credo che Spalletti sia uno dei migliori in assoluto per una squadra di club, ma in Nazionale è differente. Io ne ho avuta esperienza e ho letto le dichiarazioni di Capello in cui spiegava che il mister di una squadra è diverso da un selezionatore, e mi trovo completamente d’accordo con lui. Non è automatico che un top allenatore per un club, sia anche un top Ct. Spalletti dovrà essere bravo a calarsi in questa nuova veste, altrimenti si fa dura. Il rischio è quello di commettere errori, come sicuramente ha fatto in buona fede. In Nazionale non si può portare il modello di un club, è impossibile”.

Settore giovanile, investimenti, stranieri, infrastrutture: parte tutto da qui il fallimento del nostro calcio?

“Assolutamente sì, hai centrato i punti focali. I talenti li abbiamo e le Nazionali giovanili lo dimostrano. Il problema è che diventiamo campioni under 17, ma poi non investiamo su questi ragazzi che invece rischiano di perdersi. Ci sono club in cui troviamo quasi solo stranieri, presi da altre accademy. Se non li facciamo giocare i nostri talenti, poi si disperdono. Questi ragazzi invece devono crescere giocando. In Spagna un diciassettenne, se è bravo gioca. Noi abbiamo un parametro diverso e consideriamo giovane uno che ha 23 o 24 anni. Non possiamo riempire di stranieri i settori giovanili. Una volta la Nazionale aveva un’anima, che dipendeva anche dalla squadra del momento, con dei leader seri e l’Italia ne beneficiava. Il Camarda del Milan, in Spagna giocherebbe in prima squadra, questa è la differenza”.