Niente da fare, Paolo Emilio Signorini resta in carcere, dove è rinchiuso dal 7 maggio nell’ambito dell’inchiesta di Genova, dopo che il tribunale del Riesame ha respinto oggi la richiesta dei domiciliari. Signorini è coinvolto nel giro di affari e voti di scambio tra imprenditori e Regione Liguria che vede implicato anche il governatore Giovanni Toti.

Inchiesta Genova, respinta oggi la richiesta dei domiciliari per Signorini: “Rischio inquinamento delle prove”

Il tribunale del Riesame apre, dunque, un nuovo capito nell’inchiesta che ha scosso la politica e il mondo degli affari della Liguria.

L’ex presidente del porto di Genova, Paolo Signorini, non potrà uscire dal carcere. L’istanza per i domiciliari, avanzata da Enrico e Mario Scopesi, i legali dell’imprenditore, è stata rigettata oggi, 1 luglio 2024, con una motivazione pesante e ben precisa: rischio di inquinamento probatorio.

I giudici, infatti, non hanno ritenuto sufficientemente sicure le abitazioni proposte dagli avvocati di Signorini come possibili dimore per i domiciliari. Si trattava di un’abitazione a Genova di proprietà di un parente e della casa di suo fratello, ad Aosta.

Di cosa è accusato Signorini?

L’ex amministratore delegato di Iren, unico degli indagati a finire in prigione, resta dunque nel carcere di Marassi, dove è detenuto dallo scorso 7 maggio.

Come per il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, in attesa del Riesame per la revoca dei domiciliari, anche per Signorini sarà possibile presentare una nuova istanza di scarcerazione, presentando alla giudice Paola Faggioni una soluzione abitativa diversa rispetto a quelle prospettate stavolta.

Nell’ambito dell’inchiesta, su Signorini pende l’accusa di aver accettato tangenti in cambio della concessione di alcuni spazi del porto di Genova.