Presentato per la prima volta al pubblico durante l’edizione 2024 del festival barese Bif&st, “Animali Randagi” è il film d’esordio della regista Maria Tilli scritto insieme a Fabrizio Franzini e Matteo Corradini, da un soggetto di Chiara Leonardi. La storia affronta il tema dell’eutanasia attraverso un viaggio clandestino in ambulanza nato per accompagnare un uomo, malato terminale, a morire nella sua terra natia, la Serbia. Nel cast troviamo Andrea Lattanzi, Giacomo Ferrara, Ivan Franek e Agnese Claisse.
“Animali Randagi”, recensione
Sul volto piccino di Maria (Agnese Claisse) due grandi occhi turchesi luccicano come dei fondi di bottiglia arenati su una spiaggia soleggiata. Sulle sue labbra serrate, strette strette, padroneggia un broncio che lascia trasparire tutta la disincantata disperazione che le esplode in petto ogni giorno. Sembra quasi che trattenga continuamente un pianto pronto a scatenarsi con la violenza d’un mare in tempesta. Silenziosa e assorta ti basta osservarla un paio di minuti per riuscire a vedere, vivida e quasi palpabile, la guerra che tormenta i suoi pensieri. Non da molto tempo le è morta la madre e il padre non si è neppure presentato al funerale, ma come se fosse un figlio Maria culla in grembo un dolore che non lascia spazio neanche alla rabbia o alla forza di reagire.
È per questo che quando Emir (Ivan Franek), il papà, le chiede di andare da lui all’improvviso di certo non ne è entusiasta, ma lo raggiunge senza fare troppe storie. Non si vedevano da tanto e lei lo trova profondamente cambiato: è invecchiato, con la faccia stanca e nemmeno la forza di tenersi in piedi. È malato, ha un brutto tumore ai polmoni e vuole tornare in Serbia, la sua terra natia, apparentemente per cercare delle cure alternative. Le chiede di accompagnarlo e lei accetta. Così saliranno insieme su un’ambulanza guidata da Luca (Andrea Lattanzi) e Toni (Giacomo Ferrara) ragazzi del posto, coetanei di Maria, che lavorano come infermieri per il pronto soccorso.
Questi ultimi sono nati e cresciuti in una terra che pare dimenticata anche da Dio, una provincia abruzzese disseminata di immensi campi aridi e secchi come le bocche di quelle poche anime rimaste ad abitare quei luoghi desolati. Hanno entrambi all’incirca trent’anni, vivono ancora coi genitori, quando non lavorano passano il tempo a provare droghe sintetiche e ad ubriacarsi come a voler smettere di sentire le urla dei loro desideri inespressi, abbandonati per vivere senza alcuna speranza. Per questo motivo le loro coscienze sembrano essersi assopite e la loro empatia essersi intorpidita, non più allenata a prendersi cura del prossimo. Un assurdo paradosso per due uomini ancora così giovani che fanno un lavoro che teoricamente dovrebbe permettergli di aiutare gli altri, ma che per loro è solo un mezzo per fare soldi facili.
Proprio per questo hanno accettato il viaggio organizzato da Emir, che è clandestino: sono stati pagati mille euro in contanti, da dividere in due, per portarlo oltre il confine con la Serbia senza fare domande. Maria scoprirà tutto questo solo a percorso iniziato, lungo una strada deserta e rovente che pare quasi un inferno. Ma il motivo di quel viaggio di fortuna, con Toni e Luca ad accompagnarli come Caronte sul fiume Acheronte, sarà davvero l’andare a cercare delle possibili cure per tenere in vita Emir?
“Animali Randagi”, critica
Opera prima per la regista Maria Tilli che firma questa pellicola drammatica intitolandola “Animali Randagi”, che è stata presentata all’edizione 2024 del festival barese Bif&st ed è uscita nelle sale italiane lo scorso 27 giugno. La sceneggiatura è stata scritta dalla stessa regista insieme a Fabrizio Franzini e Matteo Corradini. Maria Tilli sceglie volontariamente di raccontare la desolazione e l’abbandono delle provincie dell’Abruzzo, dove le uniche due presenze giovani sembrano essere i due coprotagonisti Luca e Toni interpretati da Andrea Lattanzi e Giacomo Ferrara, perché incarnano i suoi posti d’infanzia. Ha voluto rappresentare le terre contadine come simbolo di quei pochi luoghi rimasti selvaggi e indomabili, ancora fortemente comandati dalla vecchia generazione, rispetto alle realtà industriali dove il capitalismo è divenuto il guinzaglio col quale la popolazione viene resa più ammaestrabile.
Quel che non ho purtroppo apprezzato del film è il rimanere sempre in superficie, non approfondendo nel dettaglio alcun tema. Sono poche le nozioni che abbiamo, non soltanto di questa fuga cupa e gravosa, ma anche delle vite dei personaggi. Stando alle dichiarazioni rilasciate all’interno di alcune interviste dalla regista e dagli sceneggiatori è stata proprio intenzionale la volontà di non scavare a fondo nessuna tematica. Anche a livello di riprese ci sono pochissimi primi piani e quasi mai lo sguardo viene rivolto direttamente in camera e per me questa è un’enorme mancanza, che non mi ha permesso di percepire a pieno l’anima della storia. Quello in cui il lavoro di regia e fotografia è riuscito perfettamente è il trasmettere una sensazione di angoscia soffocante, che quasi ti preme sulla bocca non lasciandoti respirare. L’eutanasia, che doveva essere il fulcro principale della storia, diviene invece una comparsa marginale ma necessaria per legare i personaggi insieme, portandoli all’interno di un viaggio che sarà mezzo di profonda riflessione per ciascuno. Ciò nonostante però questo dramma non è riuscito a colpirmi come avrebbe dovuto.
Comunque ottima la recitazione di tutti gli interpreti, ma sulla questione eutanasia per il cinema italiano degli ultimi anni ho preferito il lungometraggio “Acqua e Anice” di Corrado Ceron.
Per “Animali Randagi”, ahimè, due virgola nove stelle su cinque.