Cinema e politica si incontrano sul red carpet dei Nastri d’Argento 2024, dove Michele Riondino portava il suo film dichiaratamente politico, “Palazzina Laf“. Una storia di lavoro che sconfina nel noir e nell’orrore della condizione tragica dei lavoratori della sua Taranto, che tanto, troppo somiglia alle vicende raccontate quotidianamente dalle cronache.
E lavoratori sono anche le maestranze e i membri delle troupe cinematografiche, che danno vita a quel mondo di cui gli spettatori vedono solamente la facciata, fatta di volti dei divi e storia sul grande schermo. Persone e famiglie che il regista e attore pugliese vede messe in ginocchio, per motivi e ragioni, politiche anch’esse, che il regista e attore chiama in causa senza timori.
Nastri d’Argento 2024, Riondino sulle proteste dei lavoratori del cinema: “Lavoro non può essere una forma di ricatto”
Sfoggia il sorriso di chi non si aspettava “tutta questa attenzione“, come dice lui stesso ai microfoni dell’inviato di TAG24 Thomas Cardinali, commentando il successo di pubblico e critica del suo “Palazzina Laf“, sancito dai cinque Nastri d’Argento ricevuti alla premiazione di ieri, 27 giugno 2024.
Un sorriso che esprime tutta la soddisfazione di un regista convinto che il cinema possa e debba essere impegno civile e politico, e la cui convinzione trova riscontro nell’apprezzamento e nel sostegno del pubblico.
“Il tema del film è vivo“, dichiara infatti Riondino. E quanto questa frase sia vera lo sa benissimo lo stesso cinema italiano, che vive un periodo di fermo forzato a causa di ritardi legislativi che ne bloccano i finanziamenti e, di conseguenza, l’avvio delle produzioni.
Ritardi contro i quali i lavoratori che si muovono dietro le quinte delle opere cinematografiche da tempo protestano, con una manifestazione andata in scena proprio poche ore prima la cerimonia dei Nastri. Il regista e attore si schiera dalla parte della loro lotta e attacca, senza troppi fronzoli, chi li sta mettendo in ginocchio lavorativamente ed economicamente:
“Non si può usare il lavoro come forma di ricatto per ridurre al silenzio chi usa il cinema per raccontare delle storie. Dobbiamo essere liberi di farlo e, per poterlo fare, abbiamo bisogno di lavoratori che vengano retribuiti in modo giusto, e che non subiscano il ricatto della perdita del lavoro per le storie che raccontiamo. Perché questo viene in mente, cioè che venga punita una categoria per quello che racconta e per quello che dice“.
Sull’inchiesta di Fanpage sulla ‘Gioventù meloniana’: “”
Riondino ricorda alla politica la grande “tradizione del cinema italiano” sviluppata su un’industria che, per mantenerla viva, ha bisogno di leggi per farla funzionare.
E il coraggio delle su idee e delle sue posizioni politiche emerge anche quando un cronista presente gli chiede cosa pensi dell’inchiesta ‘Gioventù meloniana’ di Fanpage, sugli atteggiamenti fascisti e xenofobi dei membri dell’organizzazione giovanile di Fratelli d’Italia.
Riondino dichiara di non essere affatto sorpreso da quelle scene e da quelle frasi e critica duramente quella che definisce “ipocrisia” di una certa parte politica:
“La cosa che più mi colpisce è l’utilizzo strumentale dell’ipocrisia. Loro dicono sfacciatamente che davanti alle telecamere sono in un modo e dietro sono in un altro”.