Emergono nuovi, inquietanti dettagli sull’omicidio che lo scorso 29 maggio ha sconvolto la comunità di Vigonza, nel Padovano: stando ai risultati degli esami tossicologici effettuati in sede di autopsia sul corpo di Giada Zanola, la 33enne, madre di un bimbo di tre anni, potrebbe essere stata stordita prima di essere gettata dal cavalcavia. Ecco perché e cosa cambia adesso per l’ex compagno Andrea Favero.
Giada Zanola uccisa dall’ex compagno, cosa è emerso dall’autopsia
Nei campioni di tessuto prelevati dagli organi di Giada Zanola nel corso dell’autopsia, il medico-legale incaricato dalla Procura, il professor Claudio Terranova, avrebbe riscontrato tracce di benzodiazepine, farmaci noti per indurre sonnolenza e stordimento che nessun medico aveva prescritto alla 33enne.
Il sospetto è che a somministrarglieli possa essere stato l’ex compagno Andrea Favero, già incarcerato con l’accusa di averla gettata da un cavalcavia dell’A4 nei pressi di Vigonza. Lo riporta, tra gli altri, il Gazzettino Veneto, secondo cui ora bisognerà accertare in quali quantità tali sostanze fossero presenti nel corpo della vittima.
Solo così si potrà capire se sia stata avvelenata un’unica volta, nell’immediatezza dell’omicidio, oppure per un periodo di tempo più lungo: sembra che a un’amica, infatti, avesse confidato di avere il timore che Favero la drogasse. Nel caso in cui dovesse essere confermato, per lui la situazione cambierebbe: rischierebbe cioè di vedersi contestare l’aggravante della premeditazione.
La ricostruzione dell’omicidio
Di sicuro, quando precipitò giù dal cavalcavia, Giada Zanola era ancora viva: nel corso dell’autopsia non sarebbero stati trovati, sul suo corpo, segni di strangolamento o ferite precedenti. Se fosse stata anche cosciente, però, avrebbe di sicuro opposto resistenza e l’ex compagno avrebbe avuto difficoltà ad alzarla di peso e buttarla al di là della ringhiera di oltre due metri del ponte.
È questo a rendere plausibile l’ipotesi di uno stordimento. Dal canto suo Favero sostiene di non ricordare nulla: subito dopo il ritrovamento del corpo della vittima sull’A4, quando fu raggiunto dai carabinieri nella villetta che condivideva insieme a lei e al figlio, disse – in assenza di un avvocato difensore – di averla spinta giù dalla ringhiera dopo averla presa dalle ginocchia; poi ha ritrattato tutto, parlando di un “vuoto di memoria”.
Sembra che da un po’ facesse pesare all’ex di aver annullato le loro nozze, in programma per settembre. Non accettava che lei volesse costruirsi una nuova vita. Dopo l’omicidio sarebbe tornato a casa e si sarebbe messo a letto. Attorno alle 7.30 del mattino, fingendo di essersi appena svegliato, avrebbe inviato all’ex il seguente messaggio: “Sei andata al lavoro? Non ci hai nemmeno salutato”.
Voleva far credere agli inquirenti che Giada si fosse allontanata da sola nella notte e che si fosse suicidata. I familiari lo avevano escluso subito. I filmati delle videocamere di sorveglianza avevano fatto il resto, catturando a più riprese il passaggio dell’auto del 39enne, che ora è recluso nel carcere “Due Palazzi”.
Sconvolta la comunità di Vigonza
La vicenda della 33enne ha sconvolto la comunità di Vigonza, che nelle scorse settimane ha organizzato una fiaccolata per dire “no” alla violenza sulle donne. Tra gli altri era presente anche Gino Cecchettin, il papà della 22enne che lo scorso 11 novembre è stata uccisa dall’ex fidanzato Filippo Turetta a Vigonovo.
A metà luglio si terrà l’udienza preliminare a carico del giovane, detenuto a Montorio Veronese: rischia il massimo della pena, l’ergastolo. Secondo la Procura premeditò nel dettaglio il delitto. Il motivo? Come ha lui stesso detto agli inquirenti, la giovane “voleva vivere senza di me”.