È un intervento all’attacco quello di oggi, 26 giugno 2024, della presidente del Consiglio Giorgia Meloni alla Camera dei deputati per le comunicazioni in vista del Consiglio europeo del 27 e 28 giugno. La premier mette in guardia le istituzioni europee, che crede propense a mantenere uno status quo che gli elettori alle ultime Europee hanno dimostrato di mal digerire, come evidenziato dal dato eclatante dell’astensionismo.
Consiglio europeo, le comunicazioni di Meloni alla Camera di oggi, 26 giugno 2024: “Torneremo a chiedere un cambio di passo”
Alla Meloni non è andata affatto giù la partita delle nomine all’interno dell’Unione europea che si è giocata nelle ultime settimane e che, di fatto, l’ha vista isolata e messa da parte. Un atteggiamento già denunciato più volte nei giorni scorsi e che assume ora i toni di un vero e proprio ‘j’accuse’ verso i giochi di Palazzo nell’Ue.
La presidente del Consiglio avverte, infatti, che il voto dell’8 e 9 giugno scorsi ha testimoniato una volontà di cambiamento nei meccanismi dell’Ue, sottolineando come il gradimento verso l’Unione sia ai minimi storici. Di fronte a un simile scenario, tuttavia, la Meloni denuncia un atteggiamento pericoloso da parte di alcuni leader europei:
“Non può e non deve lasciare indifferenti le classi dirigenti europee, a partire da quelle che anche in questi giorni sembrano purtroppo tentate dal nascondere la polvere sotto il tappeto, dal continuare con vecchie e deludenti logiche come se nulla fosse accaduto, rifiutandosi i di cogliere i segnali chiari che giungono da chi ha votato e dai tanti che hanno deciso di non farlo”.
Meloni ha aggiunto di rifiutare la logica che ha guidato la scelta delle nomine fatte finora per i ‘top jobs’ che ha, sostanzialmente, ignorato i conservatori, pur essendo questi ultimi la terza forza del Parlamento Ue.
Su questo, durante la replica al dibattito alla Camera, la leader di Fratelli d’Italia ha risposto all’intervento di Marianna Madia del Partito democratico, che aveva indicato nel Ppe, nel Pse e nei liberali le “tre forze politiche” cui spetta la trattativa per le posizioni di vertice dell’Unione. Una ricostruzione sulla quale Meloni non è affatto d’accordo:
“Il partito liberale non è il terzo partito in Europa, il terzo partito in Europa sono i conservatori. Quello che implicitamente Madia ci sta dicendo è che storicamente è accaduto che si seguisse l’indicazione arrivata dai cittadini. E ci conferma che oggi c’è un cambio di passo e si sceglie di stabilire che quel meccanismo frutto delle elezioni non va più bene perché il terzo gruppo non piace a chi decide di fare quella scelta. La democrazia sarebbe una cosa diversa“.
La premier assicura l’impegno perché “all’Italia venga riconosciuto il ruolo che le spetta”
Un simile atteggiamento da parte delle istituzioni Ue rischia di pregiudicare la stabilità della maggioranza poiché l’accordo sui ‘top jobs’ non comporta automaticamente una solidità degli assetti di governo europei.
Replica, poi, alle accuse di ambiguità che le vengono rivolte dalle opposizioni, dovendo bilanciare spinte euro-scettiche di esponenti politici come Marine Le Pen (leader del Rassemblement National), Santiago Abascal (leader di Vox in Spagna) o Viktor Orban. Al Pd dice, infatti, di “guardarsi in casa“, citando le posizioni espresse da Marco Tarquinio sull’uscita dalla Nato.
Al di là delle contrapposizioni, la presidente del Consiglio chiede al Parlamento di sostenere l’azione del governo italiano che sarà volta, dice, a far riconoscere all’Italia il “ruolo che le spetta“ che si augura sia migliore di quello avuto finora.
Meloni ribadisce l’azione dell’Italia sui migranti e sul green deal insiste: “No a norme ideologiche”
La presidente del Consiglio, nel suo intervento, sottolinea poi le battaglie portate avanti dal governo italiano, a partire dall’emergenza migranti.
Meloni rivendica il suo ruolo nell’aver messo la difesa dei confini esterni dell’Ue al centro del dibattito europeo e le due direttive indicate per governare il flusso di migranti. In primo luogo, la lotta ai trafficanti di esseri umani, definiti “schiavisti del Terzo Millennio“, responsabili delle tragedie che accadono nelle rotte di terra e di mare percorse dai migranti. In secondo luogo, il contrasto alle cause che spingono alle migrazioni:
“Si mette, cioè, nero su bianco un principio che noi sosteniamo da tempo, ovvero che il primo diritto che è nostro compito garantire è il diritto a non dover emigrare, potendo trovare nella propria terra le condizioni per la propria realizzazione. Questo obiettivo presuppone la necessità di costruire un modello novo di cooperazione con le nazioni africane”.
Meloni parla, in sostanza, di una nuova prospettiva per consentire all’Europa quel cambio di passo da lei auspicato ed essa riguarda anche il tema della transizione ecologica e del tanto contestato ‘green deal’. Un’avversione che la premier ribadisce nel suo intervento, nel quale dichiara di voler mettere mano a quelle “norme più ideologiche“ presenti nell’accordo, a partire da quelle sul passaggio all’elettrico nel settore dell’automotive.
“Nessuno ha mai negato che l’elettrico possa essere una parte della soluzione per la decarbonizzazione dei trasporti, ma non ha alcun senso auto-imporsi il divieto di produrre auto a diesel e benzina a partire dal 2035 e condannarsi di fatto a nuove dipendenze strategiche, come l’elettrico cinese. Sostenere il contrario è stata semplicemente una follia ideologica”.
Meloni auspica, dunque, una transizione ecologica che non vada a discapito “della sostenibilità economica e sociale“.