Si chiamava Thomas Christopher Luciani il ragazzo di 16 anni che lo scorso 23 giugno è stato trovato morto nel parco Baden Powell di Pescara. Stando a quanto riportano diversi quotidiani locali, era appena fuggito dalla comunità di Isernia dove si trovava su disposizione dei giudici a seguito di una condanna per piccoli reati.
Chi era Thomas Luciani, il ragazzo ucciso da due coetanei a Pescara
Non era la prima volta che il giovane faceva perdere le sue tracce per qualche giorno: a novembre si era allontanato dalla casa in cui risiedeva insieme alla nonna, a Rosciano, dall’età di 3 anni, essendo stato abbandonato dai genitori. Le autorità lo avevano cercato dappertutto, rintracciandolo, alla fine, proprio a Pescara.
Lo riporta il quotidiano Il Centro, secondo cui il 16enne si trovava, al momento in una comunità, con l’obbligo di frequentare un laboratorio per parrucchieri. Venerdì scorso sarebbe fuggito dalla struttura, raggiungendo la sua provincia di residenza, dove il 23 giugno è stato trovato morto.
Dalle prime ricostruzioni è emerso che sarebbe stato accoltellato per ben 25 volte con un’arma da taglio a lama seghettata, forse un coltello da sub. Il motivo? Un debito di droga di qualche centinaio di euro. In manette sono finiti due suoi coetanei; figli, rispettivamente, di un avvocato e di un carabiniere.
Ieri, dopo il fermo, gli investigatori li hanno interrogati a lungo. Ad incastrarli ci sarebbe la testimonianza di un giovane che era presente al momento dei fatti. Lo stesso che, poco dopo il delitto, avrebbe dato l’allarme, permettendo alle autorità di ritrovare il corpo martoriato della vittima tra le sterpaglie vicino a un sottopasso ferroviario.
La versione dei fatti dei minorenni fermati
Uno dei due fermati, il figlio del carabiniere, difeso dall’avvocato Marco Di Giulio, avrebbe raccontato agli inquirenti di aver assistito all’omicidio ma di non aver mai colpito il 16enne (che a suo dire neanche conosceva). Lo riporta sempre il Centro, secondo cui il teste chiave avrebbe reso una ricostruzione diversa.
Luciani, secondo lui, sarebbe stato colpito da entrambi, prima da uno e poi dall’altro, dopo essere stato attirato in una trappola: il figlio del carabiniere avrebbe avuto addirittura con sé una pistola (cosa che lui ha negato con fermezza).
Anche il figlio dell’avvocato, difeso da Roberto Mariani, avrebbe negato ogni addebito, sostenendo di non essere lui quello ripreso insieme all’amico da alcune telecamere di videosorveglianza. Entrambi sono stati trasferiti in delle strutture per Minori.
La ricostruzione dell’omicidio
La ricostruzione che più convince coloro che indagano è la seguente: entrambi i minorenni avrebbero preso parte all’omicidio del 16enne. La vittima, in particolare, sarebbe stata attirata da un gruppo di almeno otto persone in una zona non sorvegliata del parco e poi colpita dai due con 25 coltellate.
Uno dei ragazzi gli avrebbe anche spento una sigaretta sul volto. Poi tutti si sarebbero recati in spiaggia. Nel tragitto potrebbero essersi disfatti dell’arma del delitto, non ancora ritrovata. Alla base di tutto ci sarebbe un piccolo giro di spaccio, una lite tra baby gang.
La drammatica vicenda, fin dalle prime battute, ha evidenziato un incredibile disagio giovanile, una sorprendente carenza di empatia emotiva ed una palese incapacità di comprendere l’estremo disvalore delle azioni commesse. Questi atteggiamenti disfunzionali meritano ampio approfondimento, al pari della necessaria ricostruzione delle dinamiche e responsabilità. A tal fine sono dirette le attività investigative in corso, coordinate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di L’Aquila,
si legge in una nota condivisa dalla Questura di Pescara. Il sindaco di Rosciano ha parlato di “una comunità sconvolta”: nessuno si aspettava ciò che è accaduto.