Pochi giorni ci separano dalle elezioni presidenziali in Iran del 28 giugno 2024 indette dopo la morte dell’ex presidente Raisi in un incidente in elicottero: da una parte c’è un popolo che vuole un cambiamento radicale e la fine della Repubblica Islamica, dall’altra l’ayatollah Khamenei e la sua schiera di seguaci che sperano in una vittoria di Saeed Jalili per continuare a mantenere il potere.

Si tratta di elezioni fondamentali per il futuro dell’Iran. Dopo la morte del presidente Raisi lo scorso 19 maggio, in tanti sono intenzionati ad andare alle urne con un solo obiettivo: dare uno scossone alla teocrazia considerata tra i regimi più corrotti al mondo. Ali Alfoneh è ricercatore senior presso l’Arab Gulf States Institute di Washington ed ha spiegato a Tag24 cosa potrebbe succedere dopo il 28 giugno.

Elezioni presidenziali in Iran 2024, Alfoneh: “L’affluenza sarà fondamentale”

Il vento del cambiamento soffia forte in Iran da due anni e la fiducia nei confronti della Repubblica Islamica sembra ormai ai minimi storici. La palla passa agli elettori: solo la partecipazione può infliggere un duro colpo a Khamenei e ai politici a lui fedeli.

L’esigenza di un cambio di regime si sente. La corruzione affligge la popolazione iraniana e la condizione delle donne, nonostante le proteste iniziate nel 2022, non è mai realmente cambiata: ancora oggi il tasso di alfabetizzazione resta troppo basso. Infine la povertà generale, diffusa e crescente, che ha portato negli anni i cittadini a ribellarsi. Ma un cambio di regime porterebbe solo benefici? La fine della Repubblica Islamica potrebbe essere un ‘trauma’ importante per l’Iran e mettere in discussione l’unità del Paese nella peggiore delle ipotesi. Un rischio che i cittadini sono pronti a correre? Ne abbiamo parlato con il ricercatore ed analista politico Ali Alfoneh. Da anni Alfoneh sostiene che l’Iran si stia gradualmente trasformando in una dittatura militare.

Il futuro dell’Iran e le prossime elezioni

D: Cosa ne pensa delle prossime elezioni presidenziali?

R: “Nei regimi non democratici, le elezioni servono come rinnovamento rituale della fedeltà del pubblico al leader. Pertanto, indipendentemente da chi voteranno gli elettori, il regime lo interpreterà come un segno di lealtà dei cittadini. Pertanto, l’affluenza alle urne è importante. Tuttavia, questa volta, l’Ayatollah Ali Khamenei è più interessato a ridurre l’affluenza alle urne, così che il suo candidato preferito, l’obbediente Saeed Jalili, può essere eletto”.

La morte di Raisi e il futuro ruolo degli Usa

D: La morte dell’ex presidente Ebrahim Raisi è stata un duro colpo per il regime. Ritiene che possa portare a cambiamenti nella politica iraniana?

R: “La presidenza del defunto Raisi è stata del tutto irrilevante, perché era un obbediente lacchè dell’Ayatollah Khamenei e privo di qualsiasi pensiero proprio. La sua morte, tuttavia, ha riacceso la lotta tra le fazioni per il potere, in particolare per la presidenza, ma anche per la successione alla leadership dopo l’ayatollah Khamenei“.

D: C’è la possibilità che l’Iran riallacci il rapporto con gli Stati Uniti nei prossimi anni?

R: “Finché gli Stati Uniti non saranno in grado di raggiungere accordi con la Repubblica islamica e di mantenere il proprio impegno in tali accordi, la leadership di Teheran non avrà altra scelta che orientarsi verso est, principalmente verso Russia e Cina“.

Il rapporto con Israele

D: E il rapporto con Israele? Come potrebbe evolversi?

R: “L’Iran e Israele furono segretamente allineati contro l’Iraq dal 1958 al 1990, un periodo che comprendeva il regime di Pahlavi e la Repubblica Islamica, nonostante le sceneggiate anti-israeliane della Repubblica Islamica. Dopo la guerra del Kuwait, la posizione di Israele è cambiata: l’Iraq non era più l’attore più forte in Medio Oriente, mentre lo era l’Iran”.

“Da allora Israele ha cercato di controbilanciare e indebolire l’Iran. La rivalità tra Iran e Israele è inoltre esacerbata dai tentativi di Israele di proteggere il proprio monopolio nucleare. Finché l’Iran esisterà come stato unificato, è probabile che continui il lavoro sul nucleare, il che significa che la rivalità Iran-Israele probabilmente continuerà indipendentemente dalla natura del regime di Teheran”.

I diritti delle donne: cosa è cambiato dal 2022?

D: Dal 2022 sono in corso importanti proteste che hanno visto al centro le donne. Cosa è cambiato da allora?

R: “Secondo la Banca Mondiale, nel 1979, solo il 25% degli iraniani sapeva leggere e scrivere, e il 75% delle donne iraniane erano analfabete. Nel 1979, solo l’1% delle donne iraniane aveva un’istruzione universitaria e oggi quella percentuale ha raggiunto il 56%. A parte la legge sull’hijab, nulla è realmente cambiato: se guardi i video delle passeggiate di Teheran, come il canale Travel All Nation su YouTube, vedi che il regime ha effettivamente rinunciato a far rispettare la legislazione sull’hijab”.

D: Gli Iraniani hanno fiducia nella figura dell’Ayatollah e nell’attuale regime?

R: “Per quanto riguarda la fiducia del pubblico non lo so, dal momento che l’ayatollah Khamenei non è stato eletto alla carica di leader, ma sondaggi estremamente accurati del ministero della Cultura e dell’Orientamento Islamico mostrano che il pubblico iraniano diffida di tutti gli organi rappresentativi e degli uffici elettivi nella Repubblica islamica. È quindi probabile che la sfiducia dell’opinione pubblica si estenda anche all’Ayatollah Khamenei“.

“Per quanto riguarda il fatto che l’Ayatollah Khamenei sia l’ultimo “Giurista Guardiano”, o capo di stato clericale, non ne sono così sicuro. Credo che la mia previsione del 2006 di una trasformazione dell’Iran in una dittatura militare si stia gradualmente materializzando, ma mi aspetto che la Guardia Rivoluzionaria mantenga la carica di Guida Suprema, almeno per un certo periodo”.

D: Che conseguenze potrebbero esserci dall’eventuale crollo della Repubblica Islamica?

R: “Se lo Stato iraniano sopravvive al crollo della Repubblica islamica, e nella misura in cui l’Iran non precipita in una guerra civile, non viene balcanizzato e non viene spartito, la separazione tra Stato e religione sarà probabilmente la conseguenza più duratura”.