La Procura di Catania ha chiesto una condanna a 30 anni di reclusione per Martina Patti, la 25enne che nell’estate del 2022 uccise la figlia Elena Del Pozzo, di soli 5 anni, a Mascalucia, nel Catanese, e ne inscenò il rapimento.
Chiesti 30 anni di carcere per Martina Patti, che nel 2021 uccise la figlia Elena Del Pozzo
La donna è accusata di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, di occultamento di cadavere e simulazione di reato. Il procuratore aggiunto Fabio Scavone e la sostituta Assunta Musella hanno chiesto ai giudici di riconoscerle le attenuanti generiche e di condannarla a 30 anni di reclusione.
Nel corso della prossima udienza del processo a suo carico – che si sta celebrando davanti alla Corte d’Assise di Catania – si esprimeranno i suoi avvocati difensori, Tommaso Tamburino e Gabriele Celesti; poi verrà emessa la sentenza. L’appuntamento è per il 12 luglio. I nonni e il papà della piccola vittima, costituitisi parte civile, si aspettano giustizia.
La ricostruzione dell’omicidio di Mascalucia, nel Catanese
I fatti risalgono all’estate del 2022. Stando a quanto ricostruito nel corso delle indagini, Martina Patti uccise la bimba – che aveva appena ripreso da scuola – in un campo abbandonato di Mascalucia, seppellendone il corpicino, nascosto in dei sacchi neri per l’immondizia, in una fossa scavata con l’aiuto di una pala e di un piccone.
Il movente? Non è mai stato ricostruito. Nonostante abbia confessato l’omicidio, la giovane, che in un primo momento cercò di depistare le indagini fingendo che la piccola fosse stata rapita da tre uomini armati sulla strada che collegava l’asilo alla casa in cui vivevano, non ha mai infatti dato spiegazioni su ciò che l’avrebbe spinta a compiere un gesto così estremo.
Si è ipotizzato, tra le tante cose, che fosse gelosa della nuova compagna del padre della bimba. Una donna che ad Elena sembrava piacere molto. Aveva paura, forse, che la piccola le si sarebbe affezionata troppo. Che l’avrebbe sostituita. Da quei pensieri la scelta di fare ciò che ha fatto.
Madri che uccidono i figli
Il suo non è, purtroppo, l’unico caso del genere. Si ricorderanno, fra tutti, quelli di Annamaria Franzoni e di Veronica Panarello. La prima ha scontato sei anni di carcere e cinque ai domiciliari per aver ucciso il figlio Samuele Lorenzi, di 3 anni, a Cogne.
Era il 2002. Secondo le ricostruzioni, lo colpì per ben 17 volte con un’arma da punta e taglio, salvo poi dare l’allarme dicendo che qualcuno era entrato nell’abitazione di famiglia mentre lei accompagnava il figlio maggiore a prendere lo scuolabus e aveva ucciso il piccolo.
Gli esperti sono convinti che abbia rimosso tutto. La seconda è ancora reclusa nel carcere di Torino: è stata condannata a 30 anni di reclusione per l’omicidio del figlio di 8 anni Loys Stival, consumatosi a Santa Croce Camerina, in provincia di Ragusa, nel 2014.
Stando a quanto emerso nel corso delle indagini, lo stangolò con delle fascette da elettricista per poi abbandonarne il corpo in un canalone nei pressi del Mulino Vecchio della città. Come Patti ne denunciò la scomparsa: agli inquirenti disse di averlo portato a scuola. Cosa che poi sarebbe risultata essere una bugia.
Ammise di essere coinvolta nel delitto un anno dopo il suo arresto. Prima aveva puntato il dito anche contro il suocero, raccontando a tutti che avevano una relazione e che era stato l’uomo ad uccidere il bambino, dopo essersi accorto che li aveva scoperti, vedendoli insieme. Per questo motivo è stata condannata anche per il reato di calunnia.