Il “macellaio di Mons”. Con questo nome è salito alla ribalta delle cronache il serial killer a cui le autorità del Belgio hanno attribuito cinque omicidi commessi tra il 1996 e il 1997 nella Vallonia. Il motivo? Dopo aver ucciso le sue vittime ne faceva a pezzi i corpi con un’attenzione tale da far pensare che fosse, appunto, uno del mestiere. Al massimo un medico o un chirurgo. Con esattezza non si sa, perché la sua identità, a distanza di tanti anni, resta un mistero.

L’enigma irrisolto del serial killer noto come “macellaio di Mons”

Il ritrovamento dei corpi fatti a pezzi delle vittime in dei sacchi per l’immondizia

Il 22 marzo del 1997 l’agente di polizia belga Olivier Motte scopre, sotto la Rue Emile Vandervelde a Cuesmes, otto sacchi per l’immondizia contenenti resti umani. Il magistrato Pierre Pilette, dopo averli analizzati, li attribuisce a tre donne diverse.

Inizia così la storia di un enigma tuttora irrisolto, quello del “macellaio di Mons”, il serial killer che tra il 1996 e il 1997 si sarebbe macchiato, secondo le autorità belghe, degli omicidi di almeno cinque donne, di cui molte prostitute o con problemi in ambito familiare: Carmelina Russo, di 42, Martine Bohn, di 43, Jacqueline Leclercq, di 33, madre di quattro figli, Nathalie Godart, di 21, e Begonia Valencia, di 37.

Un serial killer organizzato e senza scrupoli che, dopo essersi accanito sulle sue vittime, ne faceva a pezzi i corpi con estrema attenzione, abbandonandoli – a volte dopo averli congelati – a bordo strada o sul letto di fiumi: tutti luoghi, comunque, dai nomi evocativi, come il “sentiero della preoccupazione” o il “fiume dell’odio”.

Più di tre i sospettati per gli almeno cinque omicidi

Di chi possa trattarsi non è mai stato chiarito. In tre, nel corso degli anni, sono finiti nel mirino degli inquirenti: oltre allo “zingaro”, ex fidanzato di una delle vittime, il montenegrino Smail Tulja – condannato nel 2010 per l’omicidio di Mary Beal, consumatosi a New York City nel 1990 – e il medico Jacques Antoine, accusato dallo stesso figlio in delle lettere indirizzate al pubblico ministero dell’epoca di essere un “violento”, uno “stupratore” con la passione per le armi.

Si pensa, sulla base delle prove poche raccolte, che nessuno di loro sia l’assassino seriale che seminò il panico in Vallonia, che tra l’altro, secondo il criminologo e sociologo della comunicazione all’Unicusano Marino D’Amore – che ha parlato del caso in una puntata di “Crimini e criminologia” andata in onda su Cusano Italia Tv insieme al giornalista Fabio Camillacci – potrebbe anche aver mietuto altre vittime.

La sua storia ricorda, per molti aspetti, quella di Jack Lo Squartatore, che tra l’estate e l’autunno del 1988 sconvolse il degradato quartiere di Whitechapel, nell’East Est di Londra, mietendo decine di vittime: entrambi non sono mai stati presi; entrambi, dopo una breve ma intensa attività omicidiaria, smisero tutto ad un tratto di uccidere, forse perché morti.

Diversi i casi di Harold Shipman, il “dottor morte” della Gran Bretagna e di Lavinia Fisher, la “serial killer in abito da sposa”, di cui abbiamo scritto negli ultimi articoli della rubrica. Nella prossima puntata di “Crimini e criminologia”, domenica 23 giugno dalle ore 21.30 alle 23.30, si parlerà, invece, della strage di Ustica e della storia di Chico Forti, tornato da poco in Italia dagli Stati Uniti dopo una condanna per omicidio. Omicidio che ha sempre sostenuto di non aver commesso.