Si chiamava Satnam Singh e aveva 31 anni il bracciante di nazionalità indiana che ieri, 19 giugno, è morto al San Camillo di Roma dove, dallo scorso lunedì pomeriggio, era ricoverato in prognosi riservata dopo aver perso un braccio sul luogo di lavoro – un’azienda agricola di borgo Santa Maria, in provincia di Latina – ed essere stato abbandonato in strada.
Chi era il bracciante indiano morto dopo aver perso un braccio a Latina: l’indiano Satnam Singh
La sua storia ha sconvolto tutti, dal Nord al Sud dell’Italia: lunedì scorso Satnam Singh era arrivato al nosocomio romano in condizioni gravissime. Qualche ora prima, mentre lavorava per un’azienda agricola di Latina – in cambio di una paga irrisoria, circa 4 euro l’ora – era rimasto incastrato in una macchina avvolgiplastica trainata da un trattore, perdendo il braccio destro.
Semba che non avesse un contratto regolare: il suo datore di lavoro, già indagato a piede libero per lesioni colpose e omissione di soccorso, rischia ora – secondo il Sole 24 ore – di vedersi contestato l’omicidio colposo. Non si sarebbe preoccupato, infatti, di soccorrerlo: il 31enne, stando alle ricostruzioni dei presenti, sarebbe stato caricato su un pulmino dell’azienda e abbandonato in strada a pochi passi dalla sua abitazione insieme a una cassetta della frutta contenente il suo braccio.
La moglie Alisha, detta Sony, che lavorava insieme a lui, ha raccontato a La Repubblica di aver implorato in prima persona “il padrone di portarlo in ospedale”, senza successo: quest’ultimo, stando alla versione della donna, avrebbe pensato, piuttosto, di “pulire il camioncino per eliminare ogni traccia di sangue“. All’arrivo dei soccorsi, allertati dai familiari, ne aveva già perso molto.
I medici avrebbeto fatto tutto il possibile per salvarlo, sottoponendolo a una serie di delicati interventi: oltre al distaccamento dell’arto, il 31enne avrebbe però riportato delle fratture. Troppe e gravi, per riuscire a sopravvivere. Resta ora il dolore di chi lo conosceva e della comunità che lo aveva accolto, che non riesce a capacitarsi dell’accaduto.
Le diverse versioni dei fatti
La versione del datore di lavoro dell’uomo, Antonello Lovato, è diversa rispetto a quella di Alisha. L’imprenditore, assistito dagli avvocati Stefano Perotti e Valerio Righi, avrebbe infatti raccontato agli inquirenti che fu la donna a chiedergli di portare il 31enne a casa anziché in ospedale.
Lo riportano diversi quotidiani, tra cui Open, che cita anche le parole rilasciate dal padre Renzo Lovato, titolare dell’azienda, al Tg1: “Avevo avvisato il lavoratore di non avvicinarsi al mezzo, ma ha fatto di testa sua. Una leggerezza, purtroppo, costata cara a tutti”.
Saranno le indagini a chiarire l’esatta dinamica dei fatti. La vita di Singh, di sicuro, era una vita dura, come quella di numerosi altri braccianti stranieri che ogni giorno, per anche dodici ore consecutive, lavorano – spesso senza contratto – in condizioni estreme.
Quello che è successo in provincia di Latina è di una gravità e crudeltà inaudita, nel disprezzo più totale della vita umana. Questo, però lo ripetiamo, è il frutto di una condizione di sfruttamento che caratterizza troppi pezzi del nostro territorio e del settore agricolo,
ha denunciato, non a caso, la Flai Cgil Roma Lazio in una nota diffusa attraverso i social.
Centinaia i morti sul lavoro in Italia
Ogni anno si registrano in tutta Italia centinaia di casi di morti sul lavoro. Tra gli ultimi si ricorderà quello di Casteldaccia, dove cinque operai hanno perso la vita a causa delle esalazioni della rete fognaria che stavano manutenendo. Il più giovane aveva 28 anni ed era appena diventato papà bis.