Le tracce della Maturità 2024 hanno anche quest’anno disatteso le previsioni e si sono concentrate su alcuni dei grandi autori della letteratura italiana. Oggi 19 giugno 2024 i maturandi hanno potuto leggere, oltre ad Ungaretti, un brano tratto dal romanzo di Luigi Pirandello “Quaderni di Serafino Gubbio operatore“.
Per l’analisi del testo e interpretazione di un testo letterario italiano (tipologia A) è stato scelto una delle opere pirandelliane meno famose, ma pur sempre pregna di un grande valore sociale e letterario. Ecco il testo, l’analisi e la spiegazione.
“Quaderni di Serafino Gubbio Operatore”, ecco la seconda traccia della prima prova scritta della Maturità 2024: analisi e riassunto
Dopo aver scoperto che una poesia di Giuseppe Ungaretti, “Inabissamento“, è stata scelta come prima traccia della prova scritta della Maturità 2024, ora tocca alla seconda traccia. E’ stata tratta dal secondo “quaderno” (cioè capitolo) del romanzo che era stato pubblicato nel 1916 col titolo “Si gira…“, poi modificato dall’editore Treves nel 1925 con quello conosciuto oggi.
Autore dei “Quaderni di Serafino Gubbio Operatore” è Luigi Pirandello, premio Nobel per la letteratura nel 1934. Il brano scelto introduce la concezione della vita del protagonista, Serafino Gubbio, addetto a girare la manovella che permette il funzionamento delle vecchie cineprese di inizio ‘900. Il lavoro è tanto usurante ed alienante mentalmente che Serafino ben presto cesserà di considerarsi un uomo fatto di sentimenti ed ambizioni per diventare ingranaggio di una macchia più grande di lui.
La velocità che all’epoca della pubblicazione del romanzo veniva considerata dai futuristi come il simbolo migliore della civiltà delle macchine (fatta di telefoni, telegrafi, automobili, stampa di massa, radio, aeroplani, ecc.) è per Pirandello un aspetto negativo, perché le macchine non si curano dei sentimenti umani ma hanno bisogno solo del combustibile per funzionare, che nel caso di Serafino è rappresentato solamente dalla sua mano.
“Quaderni di Serafino Gubbio operatore”, il testo del brano di Luigi Pirandello
Sodisfo, scrivendo, a un bisogno di sfogo, prepotente. Scarico la mia professionale impassibilità e mi vendico, anche; e con me vendico tanti, condannati come me a non esser altro, che una mano che gira una manovella.
Questo doveva avvenire, e questo è finalmente avvenuto!
L’uomo che prima, poeta, deificava i suoi sentimenti e li adorava, buttati via i sentimenti, ingombro non solo inutile ma anche dannoso, e divenuto saggio e industre, s’è messo a fabbricar di ferro, d’acciajo le sue nuove divinità ed è diventato servo e schiavo di esse.
Viva la Macchina che meccanizza la vita!
Vi resta ancora, o signori, un po’ d’anima, un po’ di cuore e di mente? Date, date qua alle macchine voraci, che aspettano! Vedrete e sentirete, che prodotto di deliziose stupidità ne sapranno cavare.
Per la loro fame, nella fretta incalzante di saziarle, che pasto potete estrarre da voi ogni giorno, ogni ora, ogni minuto?
È per forza il trionfo della stupidità, dopo tanto ingegno e tanto studio spesi per la creazione di questi mostri, che dovevano rimanere strumenti e sono divenuti invece, per forza, i nostri padroni.
La macchina è fatta per agire, per muoversi, ha bisogno d’ingojarsi la nostra anima, di divorar la nostra vita. E come volete che ce le ridiano, l’anima e la vita, in produzione centuplicata e continua, le macchine? Ecco qua: in pezzetti e bocconcini, tutti d’uno stampo, stupidi e precisi, da farne, a metterli su, uno su l’altro, una piramide che potrebbe arrivare alle stelle. Ma che stelle, no, signori! Non ci credete. Neppure all’altezza d’un palo telegrafico. Un soffio li abbatte e li ròtola giù, e tal altro ingombro, non più dentro ma fuori, ce ne fa, che — Dio, vedete quante scatole, scatolette, scatolone, scatoline? — non sappiamo più dove mettere i piedi, come muovere un passo. Ecco le produzioni dell’anima nostra, le scatolette della nostra vita!
Che volete farci? Io sono qua. Servo la mia macchinetta, in quanto la giro perchè possa mangiare. Ma l’anima, a me, non mi serve. Mi serve la mano; cioè serve alla macchina. L’anima in pasto, in pasto la vita, dovete dargliela voi signori, alla macchinetta ch’io giro. Mi divertirò a vedere, se permettete, il prodotto che ne verrà fuori. Un bel prodotto e un bel divertimento, ve lo dico io.