“Nel dialogo con le amiche e con la sorella prese corpo in Isabella Linsalata il sospetto che il marito qualche volta le mettesse qualche tranquillante a sua insaputa nella tazza della tisana”: lo ha dichiarato, nel corso del processo che vede imputato l’ex medico della Virtus Bologna Giampaolo Amato, la psicologa Patrizia Brunori, che regolarmente incontrava la moglie dell’uomo, morta nell’ottobre del 2021 per un mix di farmaci, per delle sedute terapeutiche. A riportarlo è l’Agi.

La testimonianza della psicologa di Isabella Linsalata nel corso del processo a carico del marito Giampaolo Amato

Stando alla versione dei fatti della professionista, dopo aver scoperto, attraverso un esame delle urine, tracce di benzodiazepine molto superiori rispetto alle dosi della terapia che seguiva, Linsalata – che tra l’altro “non manifestò mai istinti autolesionistici o suicidiari o abusi o dipendenze da farmaci” – le disse che “non avrebbe più preso le tisane che le preparava il marito“, l’ex medico della Virtus Bologna accusato di duplice omicidio, peculato e detenzione illecita di farmaci (per averli rubati all’azienda sanitaria per cui lavorava).

Il sospetto della 62enne era che l’uomo le somministrasse dei tranquillanti. È ciò che pensa anche la Procura che, sulla base di una serie di indizi, sostiene che Amato la uccise, drogandola, come aveva già fatto, poche settimane prima, con la madre anziana, sua suocera Giulia Tateo, di 87. L’obiettivo? Entrare in possesso dell’eredità delle due donne e costruirsi una nuova vita insieme all’amante di trent’anni più giovane.

Lui fin dall’inizio si proclama innocente. “Non ho ucciso nessuno, drogato nessuno, né rubato farmaci, e ne daremo prova”, ha dichiarato nel corso di una delle ultime udienze del processo che lo vede imputato davanti alla Corte d’Assise di Bologna. I due figli, che hanno scelto di non costituirsi parte civile, gli crederebbero.

La ricostruzione della vicenda

Ad incastrare Amato, le tracce di Midazolam rinvenute sul fondo di una bottiglia di vino che aveva offerto alla moglie, conservata “a futura memoria” dalla sorella Anna Maria, ma anche i dati del suo smartwatch, che lo collocherebbero nei pressi dell’appartamento della suocera la sera della sua morte.

È recluso dall’aprile del 2023: più volte i suoi avvocati, Gianluigi Lebro e Cesarina Mitaritonna – che ritengono che i decessi delle due donne siano avvenuti per cause naturali -, hanno chiesto ai giudici di scarcerarlo, finora senza successo: si ritiene che, da libero, Amato potrebbe reiterare il reato, prendendosela, in particolare, con l’amante, che dopo il suo fermo si sarebbe allontanata da lui.

Dalle chat intercorse tra i due e tra Amato e la moglie, citate da Rai News in un articolo dello scorso 21 maggio, è emerso che entrambe gli avrebbero chiesto, per un determinato periodo tempo, di lasciare “l’altra”, ma che lui, comunque, avrebbe continuato a portare avanti una doppia vita, come Alessandro Impagnatiello, reo confesso dell’omicidio di Giulia Tramontano, consumatosi a Senago il 27 maggio dello scorso anno.

È possibile che si sia sentito, in qualche modo, messo alle strette e abbia preso la decisione di reagire in modo estremo?, ci si chiede. Solo gli inquirenti potranno chiarirlo, mettendo un punto a questa vicenda. La speranza dei familiari delle vittime è di arrivare alla verità. “La verità è salvifica”, ha detto Anna Maria Linsalata, che in poche settimane, ormai quasi tre anni fa, ha perso prima la madre e poi la sorella e ora si aspetta giustizia.