“Viva” ha chiuso, al suo posto due ristoranti democratici. E’ quanto la chef Viviana Varese ha deciso di realizzare, dando forma concreta ad uno dei suoi sogni, quello di creare luoghi conviviali e dai costi più accessibili in una città come Milano.
La scelta di Varese comunque ha stupito, ma la sua scelta è quella di offrire un altro tipo di ristorazione ad una città che ama tantissimo.
Perché ha chiuso “Viva”, il ristorante stellato della chef Viviana Varese? Ecco la sua risposta
Desta stupore la scelta della chef stellata Viviana Varese di chiudere uno dei ristoranti più famosi di Milano, il “Viva“, finito anche nella più recente edizione delle Stelle Michelin 2024. Il post-Covid per la ristorazione è stato altalenante: se le persone sono tornate a frequentare luoghi affollati e all’aperto, l’inflazione dovuta anche alle guerre in Ucraina e Gaza ha tenuto stagnanti gli stipendi ed impedito a molti di pensare anche a consumi non strettamente necessari.
Trattandosi poi di ristorazione si ha anche a che fare con l’annosa questione della mancanza di personale, imputata spesso dai ristoratori con la presenza del Reddito di cittadinanza. In molti annunci che lanciavano allarmi su questo problema, si scopriva in realtà che dagli stipendi offerti mancavano le tasse da dedurre o che gli orari non erano sempre rispettati.
Varese, per spiegare la chiusura del suo ristorante, ammette che questi sono problemi che si sono presentati anche nel suo caso:
Milano è una città che ha un’ampia offerta ristorativa anche stellata, più di quando abbiamo aperto Viva 10 anni fa: ma adesso andare a mangiare negli stellati sta tornando a essere un lusso d’élite. Diciamo che nella ristorazione è difficile rientrare nelle 40 ore spaccate di lavoro perché magari i tempi si allungano, possono capitare degli imprevisti o i clienti arrivano tardi.
La chef indica anche che in Italia resiste anche una certa cultura che vede il cibo come un qualcosa che deve essere sì di qualità, buono, “naturale”, ma anche economico per le tasche dei consumatori:
Dovremo abituarci a pagare di più, come già avviene nel resto d’Europa. In Italia il cibo costa ancora poco, quasi la metà, rispetto alla Germania o alla Francia. Si andrà meno a mangiare fuori.
Soltanto riuscendo a gestire più margini di guadagno un ristoratore può pensare di ampliare la sua squadra di assistenti.
Come saranno i due nuovi ristoranti democratici della chef Varese
Tutto quanto detto da Varese va rapportato, è bene ricordarlo, a Milano, una città dallo stile di vita molto veloce e soprattutto costoso. Ci sono zone della città meneghina che vedono un afflusso costante di turisti e lavoratori qualificati dall’estero, che spendono molto nel buon cibo e in intrattenimento di livello.
I due nuovi ristoranti democratici di Varese si chiamano “Faak” (non lontano dal Cimitero Monumentale) e “Polpo“, in zona Porta Venezia. Il primo fa del cambiamento il suo marchio di fabbrica: a seconda delle giornate è ora pizzeria ora braceria, ora pasticceria ora panetteria, ora bar ora ristorante e laboratorio, mentre il secondo propone piatti di pesce a seconda della loro cottura.
Varese ci tiene molto alla qualità dei prodotti e ricorda che i prezzi si legano a quanto costa in generale la vita a Milano. Nel primo locale lo scontrino medio è 18 euro a pranzo e 40 a cena, mentre per il secondo oscilla fra i 50 e i 60 euro.
Forse la democraticità di cui parla Varese non è tanto rivolta al prezzo dei piatti, quanto alla convivialità e all’atmosfera dei locali.