Il mining di Bitcoin continua ad essere visionato con molta attenzione dagli ambientalisti. Com’è noto, infatti, i consumi collegati all’estrazione dei blocchi sulla blockchain più longeva sono estremamente elevati. Con l’ovvia conseguenza che, ove fondati su fonti come il carbone o il petrolio, ma non solo, sono destinati a inquinare in maniera rilevante.

Le ultime notizie relative all’attività, però, possono essere considerate positive. Stando a un grafico modellato da Daniel Batten, venture capitalist nel campo della tecnologia climatica, e dall’analista di dati Willy Woo, la quantità di energia proveniente da fonti rinnovabili dedicata al mining di Bitcoin sarebbe ai massimi storici. Si attesterebbe infatti intorno al 55%. Un dato che potrebbe riaprirgli molte porte che si erano chiuse in precedenza.

Mining di Bitcoin: il 55% dell’energia impiegata proviene da fonti rinnovabili

Nella discussione relativa al mining di Bitcoin, il dato che è sempre stato agitato dagli ambientalisti è quello relativo ai consumi collegati alla blockchain più longeva. Un modus operandi che, a dire il vero, non è molto corretto. Se fosse esteso ad altre attività, infatti, comporterebbe la messa in discussione di un gran numero di esse, che in effetti consumano molto di più.

Il metodo corretto di affrontare il problema obbligherebbe invece a cercare di capire quanto di questa quantità di energia impiegata provenga da fonti inquinanti. Ove fosse adottato questo principio, salterebbe agli occhi come meno della metà di quella impiegata nel mining di BTC proviene da fonti non rinnovabili.

Poco? Tanto? Questo naturalmente dovrebbe essere stabilito dagli esperti, magari facendo il confronto con altre attività, inquinanti o meno. Per capire meglio anche questa questione, sarebbe però il caso di ricordare la vicenda relativa a Tesla.

Ora Tesla potrebbe tornare a offrire pagamenti in Bitcoin?

Nel 2021, l’azienda automobilistica fondata da Elon Musk sollevò grande rumore. Annunciò infatti l’acquisto di 1,5 miliardi in BTC e l’inclusione dell’icona crypto nei pagamenti delle vetture. Una decisione sulla quale, però, la casa tornò indietro ad appena due mesi di distanza.

A suggerire la mossa proprio i livelli di inquinamento connessi al mining di Bitcoin. Tali da spingere lo stesso Elon Musk ad affermare che il token sarebbe tornato come strumento di pagamento solo ove avesse conseguito almeno il 50% di sostenibilità ambientale.

Naturalmente, alla luce dei dati di Batten e Woo, molti si sono chiesti se l’uomo più ricco del mondo rispetterà quanto affermato all’epoca. La questione più importante, però, è che i nuovi dati potrebbero mutare la percezione sul mining di Bitcoin da parte di alcuni governi. Allontanando, ad esempio, l’ipotesi di uno sfratto dal continente europeo.

Mining di BTC, la questione dei governi nordici

Tra coloro che non hanno nascosto la propria avversione per il mining di Bitcoin, un posto di riguardo spetta ai governi del Nord Europa, Svezia in primis. Affermandone la pericolosità, il governo di Stoccolma ha cercato di introdurre il bando all’attività nel Markets in Crypto Assets (MiCA). Il nuovo regolamento sulle criptovalute approvato dall’UE, però, non ha affrontato il tema, preferendo stralciarlo.

Nel frattempo la Svezia ha trovato alleati in altri governi della stessa area geografica, a partire dall’Islanda e dalla Norvegia. La prima ha espresso l’intenzione di sacrificarlo per dirottare energia verso il settore agricolo, la seconda vorrebbe imporre la registrazione dei data center in modo da individuare le aziende minerarie ed espellerle.

Occorre ora capire se le intenzioni bellicose siano destinate a restare tali, alla luce di una tendenza, quella a rendere più sostenibile il mining di Bitcoin, che dura ormai dal 2021. In caso contrario, i minatori dovranno continuare a lavorare per allontanare ogni pericolo in tal senso, anche nel corso dei prossimi anni.