La vendita online, in alcuni casi, diventa fiscalmente rilevante ed il compenso deve essere tassato. Negli ultimi anni, sono state lanciate diverse applicazioni per vendere oggetti usati, oltre ai grandi siti web già esistenti.
La vendita di oggetti online, magari ancora buoni, ma non utilizzati può rivelarsi molto conveniente per disfarsi di roba vecchia e guadagnarci qualcosa.
Tuttavia, accanto a chi vende oggetti usati, c’è anche chi inizia un’attività economica, seppur rudimentale. Ecco, in questi casi, occorre tenere ben presenti le variabili fiscali.
Quando scatta la tassazione sui compensi delle vendite online?
Quando il compenso della vendita online viene tassato
La vendita di oggetti può assumere diverse forme: dal classico mercatino rionale che si faceva da bambini, fino alla cessione sui portali web. Non si vendono solo vecchi oggetti inutilizzati, ma anche oggetti fatti a mano: si tratta di una pratica molto diffusa.
Molte persone coltivano hobby e, perché no, vorrebbero anche guadagnarci qualcosa. Ecco che si prova a vendere i propri oggetti online, cercando di raggiungere molti potenziali acquirenti.
Ci sono moltissimi portali per vedere online, alcuni molti famosi, altri nati da poco, dove poter inserire i propri annunci e iniziare subito a vendere la propria merce.
Fin qui, tutto molto semplice, ma come comportarsi da un punto di vista fiscale? Quando i compensi sulle vendite online devono essere tassati?
Ebbene, l’attività di vendita di oggetti sul web si può ricondurre a tre ipotesi differenti con differenti ricadute fiscali:
- Vendite una tantum, ovvero che non si configurano come attività commerciale;
- Attività commerciali occasionali;
- Attività commerciali abituali.
Di seguito, vediamo come funzionano per capire le implicazioni fiscali.
Vendite una tantum
Quando si vende un oggetto una tantum, non si effettua attività commerciale. Si tratta, infatti, di un’attività episodica, sia quando si tratta di un oggetto nuovo che di un bene usato e finanche di un bene autoprodotto.
Si pensi, per esempio, alla vendita di un vecchio computer o di un oggetto acquistato per sbaglio e, quindi, ancora nuovo. La vendita di tali oggetti, anche tramite un portale web, non rileva l’attività commerciale.
Infatti, l’episodicità della vendita fa sì che l’attività non sia inquadrata come commerciale, a prescindere dal corrispettivo basso o alto che sia.
Quando si tratta di questa tipologia di vendite, non c’è alcuna rilevanza fiscale, in quanto non si tratta di un’attività abituale di tipo commerciale e, quindi, il compenso non deve essere inserito nella dichiarazione dei redditi e non viene tassato.
Cessioni considerate come attività commerciali occasionali
Il secondo caso riguarda le vendite considerate come attività commerciali occasionali. In questo caso, è necessario effettuare un passaggio in più rispetto al precedente, anche se le vendite non sono continuative, bensì occasionali. Tuttavia, si tratta di attività che, a differenza delle vendite una tantum, richiedono almeno un minimo di organizzazione e un chiaro intento speculativo.
In questo caso, il compenso rientra tra i redditi diversi del TUIR e i ricavi devono essere tassati al netto delle spese eventualmente sostenute. I compensi devono essere inseriti nella dichiarazione dei redditi, al quadro E del Modello 730 e al quadro RL del Modello Redditi PF.
Vendita come attività commerciale abituale
L’ultimo caso riguarda le attività commerciali, ovvero quando si vendono oggetti online in maniera abituale, continuativa e sistematica.
In questo caso, il venditore produce un reddito d’impresa e implica la tassazione del reddito. È richiesta, quindi, l’apertura della Partita Iva e l’avvio dell’impresa a tutti gli effetti, con annessi gli adempimenti da eseguire.
Inoltre, si fa presente che, in questo caso, deve essere evidenziato che, ai fini Iva, è previsto un particolare regime per quanto riguarda la vendita di oggetti usati e previste regole apposite per il commercio elettronico.
Può anche interessarti: Quante tasse si pagano al fisco per i guadagni online? Ecco le nuove regole per le piattaforme digitali