Recentemente è apparso per i tipi della Rizzoli il saggio Gramsci è vivo. Sillabario per un’egemonia contemporanea. L’autore, Alessandro Giuli già vice direttore de Il Foglio, è dal dicembre 2022 presidente della Fondazione MAXXI, Museo nazionale delle arti del XX° secolo, con sede in Roma, nel quartiere Flaminio. Nella copertina del libro appare quella del settimanale Giustizia e Libertà, del 30 aprile del 1937, edito a Parigi, in occasione della morte di Gramsci, rivista dall’artista cileno Jaar.  L’originale è stato cambiato in Gramsci è vivo, modificando anche l’immagine di copertina, che sembra una finestra aperta su una stanza scura: una sorta di prigione proiettata all’esterno.

Il saggio affronta la questione dei rapporti esistenti fra potere politico e primato culturale all’interno di una comunità politica, di una Nazione. A partire da Gramsci il quale sostenne che per i comunisti, al fine di impadronirsi del potere politico, sarebbe stato necessario conquistare prima l’egemonia culturale. L’esigenza di combinare il primato politico con quello culturale è alla base del “sillabario” di Alessandro Giuli e di quel fenomeno che è stato chiamato “Gramscismo di destra”.

“Gramsci è vivo”, intervista al Prof. Enrico Ferri sul libro di Alessandro Giuli

Parliamo del libro in questione con il professor Enrico Ferri, che insegna Filosofia del Diritto all’Unicusano e che da anni studia la cultura del neo-fascismo italiano e della destra estrema.

padova università telematiche enrico ferri
Prof. Enrico Ferri (Unicusano)

D) Professor Ferri, nell’aprile del 1983 sul quotidiano “Lotta continua” uscirono due paginoni, il 4 e l’8 aprile, a sua firma. Si trattava di un “Breve viaggio nella ‘nuova destra’”, come recitava il sottotitolo. Lei analizzava in una sorta d’inchiesta un fenomeno che allora fu chiamato “Gramscismo di destra”, con intenti assai simili a quelli indicati da Alessandro Giuli, in “Gramsci è vivo”. È così?

R) Alcuni anni dopo conobbi per una vicenda legata ad un mio libro, “L’antigiuridismo di Max Stirner”, Gianfranco De Turris il quale mi disse che quella mia inchiesta aveva avuto una notevole eco negli ambienti intellettuali neo-fascisti perché, per la prima volta, un giornale di sinistra estrema si era occupato in modo organico e dettagliato delle loro idee. La mia analisi era argomentata e critica, ma comunque fu apprezzato il fatto, credo, che non consideravo quella del neo-fascismo una sottocultura, ma una prospettiva ideologica articolata e da prendere in considerazione. L’estrema destra pre-governativa ha spesso sofferto di un complesso di inferiorità dal punto di vista intellettuale.

D)  La sua inchiesta era un “Breve viaggio nella ‘nuova destra’”. “Gramscismo di destra” e “Nuova destra” erano da considerarsi sinonimi? Perché l’estrema destra si riferiva a Gramsci allora, ma anche oggi?

R) Le basi teoriche del progetto risalivano ad un gruppo di intellettuali francesi riuniti nel G.R.E.C.E., come Alain de Benoist, Pierre Vial e Jean Claude Valla che partivano dal postulato che nelle società sviluppate la presa del potere politico non è possibile se prima non avviene l’acquisizione di un vasto potere culturale. Per la “Nouvelle droite” significava acquisire alla propria Weltanschauung , alla propria “Visione del Mondo” vasti strati della popolazione. Questo è il “Gramscismo di destra”. Anche Alessandro Giuli, nel suo libro, parla di “egemonia culturale” della destra governativa di cui lui stesso si dichiara parte.

D) Perché “gramscismo” e perché “di destra”?

R) E’ una teoria sviluppata da Gramsci soprattutto nei “Quaderni dal carcere” e si fonda su un’analisi del contesto italiano che vedeva, a suo avviso e a differenza della Russia, un’estesa e strutturata presenza della società civile, che avrebbe reso difficile, se non impossibile, una rivoluzione politica se prima ampi strati di questa società civile non fossero stati conquistati dal progetto di una società comunista. La base del potere stava nella società civile che andava conquistata pervadendola, in via preliminare con la propria cultura. Se vogliamo è la questione del consenso, posta in altri termini. 

D) Quali sono le comunanze e le differenze fra questa teoria e la versione di destra del gramscismo?

R) L’obiettivo strategico è lo stesso: la conquista di una “egemonia culturale” in ampi strati della società civile, premessa per una stabile conquista e conservazione del potere. La differenza principale mi sembra evidente: si vuole costituire un’egemonia culturale fondata su visioni assai diverse: quella marxiana da una parte, quella neofascista, di destra estrema, nazionalista o sovranista che dir si voglia dall’altra.

D) In che modo pensavano di realizzare questo obiettivo gli intellettuali della nuova destra ed ora Alessandro Giuli nel suo “Gramsci è vivo”?

R) È uno stesso progetto “egemonico” ma in contesti storici e politici assai diversi. Nel primo caso si trattava di realizzare un programma “metapolitico” così declinato da Marco Tarchi, che era uno degli intellettuali della “Nuova Destra”: “Il nostro messaggio deve giungere, senza etichette, a quanti più soggetti possibile: in cineclubs, spettacoli musicali, programmi radiofonici, circoli ecologici e mille altre forme”. Se posso banalizzare, si trattava di veicolare un’ideologia reazionaria, attraverso strumenti nuovi che si erano sviluppati in contesti politici e culturali assai distanti. Questa penetrazione culturale nella società civile sarebbe poi stata capitalizzata in termini di consenso politico dal partito di riferimento, il MSI-DN, il partito di Giorgio Almirante e Pino Rauti.

D) Quali sono le differenze fra questa visione di egemonia culturale e quella presentata da Alessandro Giuli nel suo libro?

R) Giuli si presenta come un intellettuale organico e costantemente rivendica questo suo ruolo, con espressioni del tipo “noi di destra”. Sembra considerare quasi naturale quello che descrive come un riequilibrio nella gestione degli asset culturali della nazione. A partire dal MAXXI presentato come fosse una fondazione di FdI. Legittima il suo incarico, più che su titoli e curriculum, sulla base di questa appartenenza e su ambiziosi progetti. Per un altro verso si presenta come un esempio di intellettuale di destra dialogante, in nome di un’altrettanto e assai improbabile cultura di destra dialogica.  

D) Lei descrive lo spoil system come se fosse una pratica adottata solo dall’attuale governo. Non le sembra un modo di agire che ha caratterizzato da sempre la politica italiana?

R). I posti “assegnati” dal governo nella RAI, in enti pubblici come musei, accademie, teatri, ecc., subiscono una duplice selezione: prima governativa, assai significativa, e poi all’interno dello stesso governo, secondo il peso dei singoli partiti. In altri termini FdI ha una capacità di appropriazione e ridistribuzione, se così posso esprimermi, mai vista prima: il Manuale Cencelli di democristiana memoria sarebbe carta straccia nell’attuale temperie politica.  

D) Questo per lei spiegherebbe la crescita delle adesioni che FdI ha negli ambiti culturali ed artistici più diversi?

R) “Gli Italiani sono sempre pronti a correre in soccorso del vincitore”, ricordava Ennio Flaiano e ci sono alcune categorie di “italianissimi”, soprattutto quelli che dipendono dal potere politico. I giornalisti del “servizio pubblico”, ad esempio. Non c’è da meravigliarsi che dirigenti della RAI abbiano fatto outing in meeting politici “sovranisti” per dichiarare la loro italianità, che Iva Zanicchi e Pupo si dicano a favore del Primierato, o che Sabrina Ferilli abbia presenziato in più occasioni a tavole rotonde sul libro di Giuli Se continuerà  questo trend, ci aspettiamo che “I Ricchi e Poveri” prendano posizione sulla riforma costituzionale.

D) Lei, però, ha ricordato più sopra che nel libro di Giuli, “Gramsci è vivo”, ci sia un invito al dialogo e al confronto con le culture della sinistra. Non le sembra un’attitudine positiva, un invito da raccogliere?

R) Io sono un filosofo, il dialogo e il confronto sono alla base della mia pratica di lavoro e di vita. Ma l’invito di Giuli è ambiguo, da più punti di vista. Sembra quasi voler dire: “ Cari intellettuali di sinistra, ci possiamo incontrare perché ora vi spiego che le posizioni della destra illuminata , ‘conservatrice progressista’ che rappresento, sono tali da poter essere condivise anche da voi”. In nome della Nazione, della convivenza pacifica, del dialogo, del progresso…

D) Per lei sarebbe impossibile, ad esempio, confrontarsi sull’idea di una comunità politica accogliente, nella quale tutti gli Italiani si possano riconoscere?

R) La comunità politica da molti studiosi dei più diversi orientamenti, come Carl Schmitt e il filosofo cattolico Sergio Cotta, è considerata fondata su meccanismi di integrazione, ma pure di esclusione. È includente al suo interno, discrimina ed esclude gli estranei. Anche la cittadinanza democratica non fa eccezione: è stata definita come un club in cui si entra per cooptazione, secondo regole stabilite dai membri del club. O perché si nasce da persone della comunità, o perché si è accolti, prevalentemente secondo criteri di utilità/funzionalità. Il cittadino è l’amico; lo straniero e il nemico in diverse lingue europee sono indicati con lo stesso termine. Giuli prende lo spunto da alcune considerazioni di Maurizio Bettini sulla nozione di identità, per arrivare a conclusioni che ribaltano le premesse. Bettini, ad esempio in “Hai sbagliato foresta. Il furore dell’identità”, ricorda l’origine teologica del termine idem, per indicare la stessa, “idem”, natura del Padre e del Figlio, tema centrale nel Concilio di Nicea. I meccanismi identitari sacralizzano e assolutizzano alcune caratteristiche di un gruppo umano e creano esclusione verso l’esterno e all’interno del gruppo stesso, nei confronti di quelli che non sono conformi al modello: dal disabile alla persona che ha la pelle di un altro colore. Si chieda a Vannacci.

D) Lei considera irrealizzabile la formazione di una comunità nazionale armonica ed accogliente?

R) Il “sovranismo” versione illetterata del vecchio nazionalismo, che ci ha “regalato” due guerre mondiali e molteplici altre, non ultima quella in corso fra Russi ed Ucraini, descrive la nazione con caratteristiche culturali, etniche, linguistiche, religiose, storiche sue proprie e tende ad escludere quelli che non sono conformi a tali caratteristiche. Ne abbiamo esempi tutti i giorni: migliaia di profughi sono morti per mancanza di soccorsi, in quanto persone che volevano “illegalmente” raggiungere i nostri confini, considerati da respingere in quanto non funzionali alla nostra economia. Esiste una legge vergognosa che ostacola scientemente i soccorsi in mare, obbligando le navi delle Onlus a rotte lunghe ed inutili, al solo fine di ritardare il soccorso a esseri umani in pericolo di vita. L’omissione di soccorso fra tutti i popoli è stato sempre un reato, in Italia è un obbligo giuridicamente sanzionato.

D) Sul piano storico Giuli presenta Roma come un esempio di integrazione e accoglienza.

R) La vecchia visione del Ventennio, che fa il paio con il “Colonialismo buono” degli Italiani e quello “da rapina” degli inglesi. Questa tesi, argomentata con qualche citazione letteraria, non ha alcun supporto dalla storiografia antica e moderna. Se ad esempio leggiamo Polibio e Tito Livio, vediamo che durante la seconda guerra punica, dalla Sicilia alle Alpi, molti furono i popoli e le città che si schierarono con Annibale, descritto dalla propaganda anti-romana come “un Liberatore venuto da Occidente”. Dopo Zama, Roma per pacificare l’Italia, fu costretta a concedere un’amnistia , dalla quale però furono esclusi i Bruzzi e altri italici. Persino la concessione di autonomia alla Grecia, riportata nel celebre editto di Tito Quinzio ai Giochi Istmici , fu sottoposta a condizioni e restrizioni molto precise, in politica interna come internazionale, come il divieto di intraprendere una guerra senza autorizzazione, restrizione che si imponeva a tutti i popoli vinti.  

D) Giuli presenta la cultura di destra come una realtà che pone al cento l’individuo, contro le tendenze omologanti. Può essere un punto di discussione e di incontro?

R) Di discussione, sicuramente, di incontro molto meno. L’egualitarismo non è un cancro, è un fondamento della democrazia e di ogni umanesimo. Importante è definire con quale criterio si misura l’uguaglianza: se è quello della dignità della persona, dei diritti umani fondamentali, dei doveri civici, del diritto ad un futuro liberato dal bisogno e dalla sopraffazione, è evidente che si tratta di diritti e condizioni che vanno riconosciuti e tutelati: a tutti, anche a quelli che stanno su un barcone, senza passaporto e visto. L’omologazione è quella dei regimi che producono l’uomo gregge, asservito all’ideologia del Regime di turno.

D) Lei sarebbe disposto a confrontarsi con l’autore di “Gramsci è vivo” e le sue tesi?   

R) Mi sembra di averlo, almeno in parte, già fatto. Ma come dice Socrate nel “Fedro” il libro se interrogato non risponde, mentre gli uomini si. Ma credo che Giuli preferisca confrontarsi con Sabrina Ferilli.

Il Prof. Ferri ha trattato i temi dei regimi autoritari anche nei suoi due articoli “A proposito della natura dei totalitarismi: comunismo e fascismo si equivalgono? (Parte prima)” e “A proposito dei regimi autoritari: Comunismo e Fascismo, somiglianze e differenze (parte seconda)”