Plusvalenza sul superbonus 2024, il nuovo regime di tassazione colpisce anche chi non abbia utilizzato il superbonus. Con qualche dubbio, è quanto emerge dalla pubblicazione, da parte dell’Agenzia delle entrate, della circolare 13/E di giugno 2024 circa il nuovo regime di tassazione del 26% sulla vendita di un immobile, non prima casa, sul quale siano stati effettuati lavori di efficientamento energetico o di ristrutturazione agevolati con l’ex bonus 110%. L’arco temporale all’interno del quale è necessario calcolare la plusvalenza in caso di vendita dell’immobile è di 10 anni.

Il termine decorre a partire dalla conclusione degli interventi. Particolarmente complesse sono le situazioni di applicazione della nuova disciplina per i lavori nei condomini. Qui, infatti, la plusvalenza trova applicazione anche per i lavori agevolati dal superbonus di uno solo dei condòmini. È quanto si evince da un’attenta lettura della circolare dell’Agenzia delle entrate. I vantaggi degli interventi degli uni trasmettono nuovi adempimenti, anche in termini monetari, per gli altri.

Plusvalenza superbonus 2024 bonus, quando il 26% colpisce chi non ha usato l’agevolazione?

Il quadro delineato dalla nuova disciplina suggerisce, dunque, di valutare quando e in che modo la tassa sulla plusvalenza del superbonus colpisce anche chi non abbia utilizzato il bonus per le ristrutturazioni. Le situazioni che possono delinearsi sono, dunque, alquanto paradossali, soprattutto se riferite agli interventi svolti nei condomini.

Si ponga il caso del singolo condòmino che si vedrebbe applicata la disciplina sulla plusvalenza del superbonus, in caso di vendita del proprio immobile, pur avendo votato contro nell’assemblea condominiale circa l’esecuzione dei lavori (anche se non avrebbe potuto evitarli).

Imposta del 26% sulla vendita di immobile con lavori del superbonus: casi del condominio

Diversamente, lo stesso condòmino avrebbe potuto acconsentire all’accollo dell’intera spesa da parte di uno o più altri proprietari di unità condominiali. Ma, andando oltre nell’analisi di come si siano messe le cose nei condomini dopo i recenti decreti che hanno bloccato la cessione del credito d’imposta o lo sconto in fattura, si potrebbe arrivare a non escludere dalla fattispecie il condòmino che, alla fine, non sia riuscito a utilizzare il bonus spettante.

Infatti, nel caso in cui il singolo condòmino risultasse incapiente per effettuare la detrazione fiscale delle spese dei lavori del superbonus, e in assenza di possibilità di utilizzo di una delle due opzioni (sconto in fattura o cessione del credito d’imposta), lo stesso rientrerebbe nella disciplina della plusvalenza del superbonus.

E, pertanto, in caso di vendita dell’immobile condominiale entro i 10 anni dal termine dei lavori, si vedrebbe applicata la tassa sulla plusvalenza, pur non avendo effettivamente utilizzato o beneficiato del bonus.

In che modo l’imposta colpisce gli immobili?

In questa situazione, conoscere “in che modo” il singolo condòmino verrebbe interessato della tassazione è ininfluente, in quanto la normativa non stabilisce criteri o parametri legati a quanto bonus il singolo abbia ricevuto. Ricadere nella situazione di applicazione della plusvalenza comporta, dunque, l’applicazione integrale della tassazione, senza sconti o applicazioni parziali.

Tutto ciò a maggior ragione se si considera che i vantaggi dei lavori in superbonus potrebbero essere stati goduti da altre persone, differenti da chi si accinge a vendere l’immobile sul quale pesi la tassazione per la plusvalenza. L’attivazione dell’obbligo di applicare la tassazione può avvenire anche per i lavori degli inquilini, dei familiari conviventi o di qualsiasi altra figura avente diritto a effettuare lavori con il superbonus al quale le norma si riferisce. Chi si trova a pagare la tassa sulla plusvalenza potrebbe essere arrivato dopo i soggetti beneficiari del bonus.

L’unica differenziazione che la legge accorda a chi deve pagare la tassa sulla plusvalenza è quella relativa al trascorrere del tempo dalla conclusione dei lavori. C’è differenza di imposta da pagare se dai lavori sono trascorsi meno o più di cinque anni, entro comunque il limite massimo dei 10 anni di applicazione dell’imposta.