Guardare il prossimo con occhi diversi, cercando di trovarvici un essere umano con una storia da raccontare e non l’ennesimo straniero da condannare a causa di una xenofobia indotta da tempi difficili: questo vuole comunicare ‘Voyage a Calais‘ l’opera dell’artista 42enne Alessio Patalocco.
Questo lavoro è stato sostenuto nel 2017 da Amnesty International e doveva essere collocato in un primo momento nel porto di Calais, in Francia. La città non troppo distante dalle coste dell’Inghilterra era diventata famosa in quegli anni per la “Giungla” dei migranti – un vero e proprio campo di tende abitato da migranti vicino alla città – ma la storia le consegna un ruolo molto più importante: quello di crocevia di scambi culturali e commerciali, nonché terra di accoglienza.
L’opera di Patalocco oscurata a Calais arriva in Calabria
Eppure sembra che la stessa Calais abbia preferito dimenticarsi che tipo di città fosse ed il suo ruolo storico. Dopo l’ondata migratoria tra il 2015 ed il 2017 le autorità hanno smantellato la Giungla e hanno deciso di ‘cambiare volto‘ alla città. Alessio Patalocco racconta a Tag24 di un radicale cambio di politiche che ha di fatto oscurato l’opera che oggi si trova al Museo d’Arte del Bosco della Sila a Catanzaro.
Come nasce la tua opera?
“Nasce dal fatto che nel 2016 mi ha contattato il mio ex professore a Roma Tre e membro di Amnesty International. C’eravamo incontrati per caso quando lavoravo lì e mi disse che stava organizzando una campagna che valorizzava l’arte per l’ong. Mi è stato chiesto di fare opere d’arte di strada, mi sarebbe piaciuto farne una che parlava di migranti a Calais. Da poco era stata smantellata la giungla (2016 e 2017), la richiesta è stata accolta e mi sono recato lì. Ho chiesto al comune di Calais se si potesse realizzare ed era stato detto che andava bene.”
“Ho immaginato un muro che si rovina e diventa un nastro che diventa una storia e si compone come un rottame sul molo. L’opera nasce così…”
E poi?
“Il comune di Calais, mentre lavoravo all’opera, ha smesso di rispondere alle mie mail. Dopo essermi recato lì ho scoperto che hanno cambiato politica e che avrebbero preferito non parlare di migranti e volevano riconvertire anche la mia opera invitandomi a parlare del merletto tipico di Calais. Chiaramente era fuori dallo spirito di Amnesty e io rimasi male da questa paura di parlare dei migranti. Qualcuno diceva di non voler fare la fine di Lampedusa: il comune ha promosso le sue spiagge oscurando completamente la natura multietnica della città. Calais da secoli è un porto di mare, i migranti non sono una novità”.
La situazione a Calais
Hai trovato storie di migranti interessanti a Calais?
“Diverse erano interessanti, ho parlato con persone ed associazioni che hanno lavorato con i migranti che abitavano la Giungla. Preferirei non riportare tanti dettagli, hanno tutti paura di parlare…”
Che messaggio volevi lanciare e quali saranno le prossime opere?
“L’opera ora si trova al MABOS di Catanzaro dove ho trovato una grandissima accoglienza. Anche a Calais la società è stata molta partecipe, devo dire. Il problema è sempre quello della politica che non rispetta la società civile…con la mia opera vorrei condividere una storia con l’uso dell’arte di strada che riprendesse l’arte rupestre. Il viaggio e l’immigrazione sono concetti atavici, le pitture sono interrotte dopo lo stop da parte del comune di Calais. Volevo raccontare una storia, ora che è a Catanzaro questa storia interrotta è testimone della paura nell’accogliere il diverso”.
“L’opera racconta una storia di rifiuto e paura a chi attraversa la Sila. Vorrei che la gente si arrabbiasse ed avesse maggiore sensibilità sul tema e che la prossima volta che incontra qualcuno riesce a leggere la storia che porta con sé. Quello che gli è successo e vuole essere, andare oltre la paura indotta.”
“Adesso sto lavorando a diverse performance artistiche che indagano sul tema del diverso, a Davoli dovrò produrre qualcosa di permanente ed ho poi un progetto di mostra itinerante che riguarderà le maschere…”