Massimo Bossetti è stato condannato in via definitiva per l’omicidio della 13enne Yara Gambirasio, scomparsa da Brembate di Sopra, in provincia di Bergamo, il 22 novembre del 2010 e trovata morta tre mesi dopo in un campo di Chignolo d’Isola.

Ad incastrarlo, le tracce di Dna rinvenute sui reperti sequestrati sulla scena del crimine. Reperti che i legali dell’uomo, Claudio Salvagni e Paolo Camporini, hanno da poco potuto visionare e che ora puntano ad analizzare. Il loro obiettivo? La revisione del processo.

A 10 anni dall’arresto per l’omicidio di Yara Gambirasio Massimo Bossetti continua a proclamarsi innocente

L’ex muratore di Mapello si è sempre proclamato innocente, sostenendo di essere vittima di un errore giudiziario. A 10 anni dal suo arresto per l’omicidio della giovane ginnasta di Brembate, attraverso l’avvocato Salvagni, che lo assiste insieme al collega Camporini, ha fatto sapere a “Crimini e criminologia” di essere “molto fiducioso per una revisione del processo” a suo carico.

“Spero che mi possa essere data finalmente la possibilità di far analizzare i reperti rimasti per dimostrare che non ho ucciso io Yara e che quel Dna non è il mio”, le sue parole. Di recente i suoi legali quei reperti hanno potuto visionarli; nonostante le numerose richieste avanzate negli anni, non sono mai riusciti, però, ad esaminarli. Sarebbe importante, “visto che tutto il processo si è fondato sul Dna” che vi è stato estratto, la cosiddetta “prova regina” contro Bossetti.

“Noi abbiamo sempre rigettato l’equazione ‘Ignoto 1’ uguale Massimo Bossetti“, ha spiegato l’avvocato Salvagni rispondendo alle domande dei giornalisti Fabio Camillacci e Gabriele Raho su Cusano Italia Tv. E ha aggiunto: “L’unico modo per scalfire questa certezza era ed è quella di esaminare i reperti, di fare una nuova analisi biologica. È chiaro, e questo lo dice anche la Cassazione, che la difesa non può accontentarsi della loro semplice visione”.

La questione della visione e dell’analisi dei reperti

Visionarli, ha dichiarato il legale, “è stato un passaggio fondamentale”, certo, ma non basta. Il riferimento è, in particolare, agli indumenti che Yara indossava il giorno in cui fu uccisa – gli slip, i leggins, una maglietta, il reggiseno e altri abiti -; le 54 provette contenenti il Dna attribuito a “Ignoto 1” e poi a Bossetti sarebbero, invece, “inutilizzabili” perché “sono state conservate a temperatura ambiente”.

Secondo il legale, analizzandoli di nuovo si potrebbe arrivare a risultati diversi. L’esempio che ha fatto è quello delle scarpe. Secondo l’accusa, la 13enne fu uccisa a Chignolo d’Isola, dove il suo corpo rimase (all’aperto) per tre mesi prima di essere ritrovato: “Le immaginavo molto compromesse (le scarpe, ndr) e invece erano ben conservate. La suola interna era completamente bianca, pulita. I calzini, al contrario, erano sporchi”.

Come se “le scarpe” siano state “indossate in un momento successivo”. È solo uno degli aspetti che per Salvagni non tornerebbe. Uno degli aspetti da chiarire. “La Cassazione ha detto che rimane fermo e e impregiudicato il nostro diritto di esaminare i reperti, ma che deve essere oggetto di un’altra istanza accompagnata da una relazione scientifica che dimostri che cosa vogliamo ottenere e quali sono gli strumenti utili per ottenere questo risultato. I nostri genetisti sono già all’opera”.

Ciò a cui auspicano, l’ha sempre detto, è la revisione del processo a carico del loro assistito, che a loro dire, ormai da 10 anni, sarebbe “ingiustamente detenuto“.