L’Iran è una terra dove i diritti umani sono in grave pericolo. Il regime della Repubblica Islamica non risparmia nessuno, e non fa distinzioni di genere tra donne e uomini. Anzi la furia dei sostenitori della guida suprema Khamenei e della polizia morale, si fa sempre più feroce contro le donne, dentro e fuori dalle carceri in Iran.

E’ ancora in atto il processo contro Narges Mohammadi, il premio Nobel per la Pace 2023, detenuta per motivi politici nella prigione di Evin a Teheran. L’attivista, con una pena che ormai ha totalizzato diversi ergastoli, continua a denunciare le violenze perpetuate dalle autorità contro le donne che scontano la loro condanna dietro le sbarre. Abusi, percosse, stupri.

Per approfondire la questione, analizzando qual è la situazione dei diritti umani fondamentali in Iran e le posizioni del regime, Tag24 ha intervistato Mariofilippo Brambilla di Carpiano, Presidente dell’Associazione Italia-Iran per la democrazia e la libertà della nazione iraniana. E’ una realtà che da anni si offre come ponte per il dialogo e la cooperazione tra i due Paesi, puntando su iniziative legate alla cultura, occupandosi attivamente di diritti umani.

Diritti umani in Iran, il processo a Mohammadi tra luci e ombre: la riflessione del Presidente dell’Associazione

Mariofilippo Brambilla di Carpiano ha raccontato a Tag24 quali sono gli scopi che animano l’Associazione Italia – Iran. Una realtà che sostiene persone molto spesso esuli nel nostro Paese e che non possono più tornare nel loro luogo di appartenenza:

“La nostra associazione è fatta per metà da cittadini iraniani e nello specifico da esuli, da oppositori che vivono nel nostro Paese, quindi una comunità iraniana residente in Italia che è strutturata nell’opposizione del regime. Abbiamo quindi per natura un osservatorio privilegiato, grazie alla presenza di queste persone, su quello che succede in Iran, perché all’interno ci sono tantissimi dissidenti, quasi la maggioranza forse”.

Poi ha continuato:

“Sono in contrasto con il regime ma non possono manifestarlo pubblicamente. Gli oppositori spesso sono perseguitati, soprattutto quelli che sono in collegamento clandestinamente, con chi è riuscito a uscire dallo Stato. In occidente, nonostante i rapporti con l’Iran, si fa una gran fatica a capire veramente cosa succede in profondità nella sua vita politica”.

D: La storia di Narges Mohammadi, l’attivista iraniana che si trova in condizioni di prigionia a Teheran, ha colpito la comunità internazionale, complice la notorietà in seguito al Premio Nobel per la Pace 2023. Il processo contro di lei da parte del regime della Repubblica Islamica è l’emblema della precarietà di diritti umani nel Paese: l’udienza a porte chiuse, in assenza dell’imputata, aveva sollevato le proteste di alcune donne detenute nello stesso carcere. Cosa ne pensa l’associazione?

R: Innanzitutto, come associazione, vogliamo esprimere piena solidarietà e rispetto verso i diritti della persona di Narges Mohammadi, in quanto detenuta e in quanto formalmente oppositrice della Repubblica Islamica. Il fatto che alla signora Mohammadi sia stato assegnato il Nobel per la Pace è assolutamente positivo: perché è andato a una donna iraniana. Sarebbe stato molto più unitario e importante però scegliere di destinare il premio a tutte le donne del movimento che rivoluzionario del 2022-2023 piuttosto che ad una sola, la cui figura tra l’altro è abbastanza discussa.

Quella di Narges Mohammadi è una personalità dibattuta perché vicina all’influente famiglia dell’ex presidente Rafsanjani, che rappresenta l’ala riformista interna alla Repubblica islamica, in dissenso con la Guida suprema Khamenei e la corrente attualmente al potere. Lei stessa si definisce neo-shariatista, dal movimento ispirato ad Ali Shariati, uno dei precursori della rivoluzione islamica del ’79, sostenitore di ideali radicali che strizzavano l’occhio all’islam politico.

Per questo non mi stupisce che il marito della signora Mohammadi, al posto di dedicare il Nobel alle vittime della repressione iraniana, abbia invece deciso di omaggiare Mir-Hosein Musavi, Primo Ministro di Khomeini negli anni ’80. Parliamo del periodo del terrore, nel pieno della guerra tra Iran e Iraq. Musavi ora è caduto in disgrazia per via di antichi contrasti interni al regime stesso. Un nome che magari a tanti in Italia non dirà nulla: è uno dei leader della finta opposizione riformista in Iran, una delle persone più coinvolte nei misfatti e nei crimini alla Repubblica Islamica.

Presidente Ass. Italia – Iran: “Se il marito dell’attivista Mohammadi dedica il Nobel all’ex premier dell’Ayatollah qualcosa non va…”

D: Qual è la condizione dei detenuti nelle prigioni iraniane? Mohammadi è vista come un simbolo di liberazione dall’oppressione del regime…

R: Narges Mohammadi non è un personaggio come lo descrivono molti media occidentali, è una figura altamente divisiva. Viene da una componente organica della Repubblica Islamica, quella dei riformisti, in dissenso con la Guida Suprema e con la maggioranza del regime iraniano conservatore. La Mohammadi non chiede la fine della Repubblica Islamica, come fa per esempio il principe Reza Pahlavi dall’America, un punto di riferimento per gli oppositori. Lui dice che la Repubblica Islamica è non riformabile proprio per la sua natura di stato confessionale, religioso, fondamentalista. Bisogna abbattere lo Stato e costruirne uno laico, insieme ai cittadini al voto con un’assemblea costituente, con un referendum e tutto il resto.

La Mohammadi appartiene a quella corrente politica che prevede la riforma della Repubblica Islamica, mantenendone però le fondamenta volute dalla Rivoluzione del ‘79 e dal leader supremo Khomeini. I nostri esperti iraniani ritengono che sia un’operazione per creare, in parte, una sorta di finta opposizione interna al regime. Nel corso della storia recente siamo stati spesso abituati a vedere i regimi che si autoproducevano una finta opposizione dall’interno, incarcerata, perseguitata, rispetto alle opposizioni vere.

La signora Mohammadi può rilasciare interviste, scrivere libri nella sua condizione detentiva, può addirittura comunicare con l’esterno quando le viene concesso. Ad altri oppositori questo non è concesso. Tutti i detrattori nazionalisti, monarchici, liberali che fanno riferimento ad esempio a principe Reza Pahlavi, sono incarcerati, spariscono e vanno molto spesso al patibolo. E succede anche agli oppositori di estrema sinistra.

Se il marito della Mohammadi dedica il premio Nobel ricevuto dalla moglie a Musavi, l’ex primo ministro del leader supremo, che ha agito nel periodo più buio e repressivo del Paese, qualcosa non quadra. Per questo invitiamo le persone in occidente ad informarsi bene su quanto accade in Iran, anche sulla figura di Mohammadi. Perché non è tutto quel che appare.

Quali sono i diritti umani violati in Iran? Le atrocità contro detenuti, esuli e ribelli

D: A che punto siamo in Iran con i diritti umani?

R: Non c’è alcun progresso sui diritti in Ira, soprattutto per chi si trova ad essere detenuto nelle carceri per ragioni politiche. I prigionieri non hanno nessun tipo di tutela, subiscono abusi. Anche gli esuli sono senza diritti. Gli iraniani venuti in Italia, che fanno parte della nostra associazione, spesso a causa della loro attività politica, portata avanti con coraggio, non possono più tornare nel loro paese. Da anni non incontrano più le loro famiglie. Alcuni riescono a vedere i propri cari in altri luoghi, magari raggiungendo la Turchia o altri paesi vicini. Non possono più mettere piede in Iran, solo perché chiedono un cambio di regime, non perché siano accusati di chissà quali crimini, ma semplicemente a causa di un’opinione manifestata pubblicamente. Sono tagliati fuori dal loro paese d’origine, una violenza enorme.

Abusi, percosse, lesioni verso i detenuti sono abitudini sistematiche della polizia morale, soprattutto verso le donne, che hanno il coraggio di andare in piazza e in strada a manifestare. Le autorità portano tutti i dissidenti in carcere, Evin è solo quello più famoso, ma ce ne sono tantissimi. La crudeltà e la ferocia della polizia iraniana è sotto agli occhi di tutti ormai. Per non parlare della questione della violenza verso le donne fuori e dentro le carceri. Elaheh Tavakolian è l’attivitsa che è stata colpita all’occhio dai Pasdaran, è diventata un simbolo di questa situazione.

Fu colpita solo perché aveva deciso di scendere in strada per partecipare ad una manifestazione spontanea. L’uomo che le ha sparato ha mirato contro di lei in pieno viso, colpendola all’occhio. Tutti ricordiamo la tragica fine di Mahsa Amini: morta per le manganellate della polizia morale, le immagini del suo cadavere… Non solo le donne vengono uccise, maltrattate e abusate, è un destino che condividono anche gli uomini dissidenti. La rivoluzione del 2022 è stata fatta con il sangue delle donne e degli uomini.

Presidente Ass. Italia-Iran: “Per fermare le violazioni dei diritti umani e il regime serve l’isolamento internazionale”

D: Come si possono fermare le violazioni dei diritti umani in Iran? Come si abbatte il sistema su cui prospera il regime? Cosa può fare la comunità internazionale per migliorare la condizione di chi vive in Iran?

R: I giovani in particolare aspirano ad una rivoluzione nazionale, sia donne che uomini. C’è una volontà di cambiamento che però non riesce a prendere il sopravvento, perché la Repubblica Islamica oggi ha ancora fortissimi aiuti internazionali. L’opposizione così si ritrova a lottare praticamente a mani nude, contro un apparato repressivo che è armato e finanziato molto bene dal regime stesso. Per non parlare del fatto che l’Iran galleggia su un oceano di petrolio, è un Paese che ha potenze enormi e tutti gli introiti che arrivano sono destinati all’apparato di sicurezza e militare. Questo è il motivo per cui la rivoluzione non ha avuto successo nel 2022.

La comunità Internazionale, l’Unione Europea, gli Stati Uniti, tutti dovrebbero provvedere ad un isolamento sempre più stretto della Repubblica Islamica. Mettendo sotto sanzioni le fondazioni che hanno anche interessi in Occidente, rompendo le relazioni con i vertici di questo regime, isolandolo a livello internazionale, sicuramente si farebbe un passo in avanti.

Invece i Paesi chiudono accordi sottobanco con l’Iran, continuano a commerciare, ad avere relazioni diplomatiche. Bisognerebbe avere una linea di netta chiusura, ci sarebbero tutti gli strumenti per poterlo fare.Poi serve dare sostegno anche indiretto all’opposizione interna del regime, a chi protesta. Bisogna dare voce a quelli che sono i leader dell’opposizione iraniana in esilio che vanno in giro presso i parlamenti, gli stati per illustrare una visione alternativa di futuro e quindi ascoltare un po’ di più.