Otto anni di matrimonio non svaniscono con uno schiocco di dita. O meglio, con un colpo di bacchetta. Perchè se si parla di Luis Alberto e la Lazio, è inevitabile citare il sovrannaturale. Quello che il Mago è riuscito a rendere tangibile con la maglia biancoceleste, dove croce e delizia si sono materializzate nel concetto unico di meraviglia.
Luis Alberto era questo: un giorno permetteva al palato degli spettatori spettatori di godere di bellezza, quello dopo faceva arrabbiare per colpi di testa improvvisi e dichiarazioni ai limiti del senza senso. Che i tifosi non prendevano bene, anzi. Ma alla fine passava tutto in secondo piano. Perchè l’innaturale permette al cuore di addolcirsi, rendendolo partecipe di istanti incastonati nell’animo di chi il bello se lo è sempre voluto godere, avendo però poche occasioni per farlo.
Luis Alberto ha reso l’impossibile possibile. Un lusso per pochi. E tanti saluti alla follia del genio di San Josè del Valle, che in mezzo a un turbinio di emozioni contrastanti è sempre riuscito a mettere d’accordo tutti. Come nelle più belle storie d’amore: ci si ama, poi ci si arrabbia. Ma quest’ultimo sentimento è passeggero, perchè quando c’è voglia di tenersi la mano, non c’è contrasto che tenga.
Lazio-Luis Alberto, quando l’amore supera la follia
E pensare che tutto questo non doveva nemmeno succedere. Perchè all’inizio, la Lazio e Luis Alberto non si sono piaciuti. Per niente. Nulla a che vedere con il colpo di fulmine avuto dall’allora ds Igli Tare nell’agosto del 2016. E’ bastato vederlo una volta per rimanere folgorato. “Lo dobbiamo prendere”, avrà detto la sua testa, con il cuore ad accompagnarlo. Due elementi che difficilmente vanno a braccetto, ma Luis Alberto ha fatto sì che ciò accadesse, e benedetti furono quei cinque milioni dati al Liverpool. Almeno in previsione futura.
Perchè una volta arrivato a Roma, Luis Alberto si è fatto travolgere dagli eventi. Dentro di se la spocchia del numero dieci aveva fatto capolino, nonostante sulle spalle ci fosse il numero diciotto. Pensava di poter ottenere il posto da titolare subito, ma così non è stato. L’esordio con il Milan (trasferta persa 2-0), pochi minuti e fatti male. Da lì i mugugni, con un 3-5-2 a firma Simone Inzaghi non consono a lui e al suo estro. Tanto da pensare di lasciare il calcio giovane. Già, una follia.
Provvidenziale, in tal senso, il gol contro il Genoa del 15 aprile del 2017 al Ferraris per il 2-2 finale. Tiro dalla distanza, buca d’angolo, gol. Non fu tanto questo, quanto la corsa verso il settore ospiti e il sorriso ai tifosi. E’ lì che arrivò il cambiamento. Se ne accorse Inzaghi, che non voleva lasciarsi scappare l’occasione. Tant’è che durante il ritiro estivo successivo ebbe il colpo di genio, in quel frangente più magico di quello che Luis Alberto ha offerto in campo: arretrato a mezz’ala sinistra nel centrocampo a cinque.
Magia, amore e colpi di testa
Da quel momento la storia cominciò, a partire dalla finale di Supercoppa contro la Juventus (vinta 3-2 con Murgia allo scadere), dove Luis Alberto dipinse calcio. Divertendosi e facendo divertire. Da quell’istante gli occhi si sono stropicciati più volte, specie quando il Mago decise di passare al numero dieci. Lì la metamorfosi fu completa, ma non senza storture.
Perchè la magia va accettata con la follia, e Luis Alberto lo era. Bastava un niente per farlo scattare, dalle proteste in campo alle sostituzioni mal accettate. Usciva scuotendo la testa, borbottava e si sedeva. Il giorno dopo tutti a parlare di “caso Luis Alberto”. Che in alcuni casi sembrava davvero portare alla rottura tra mancate risposte alle convocazioni, ritiri estivi iniziati in ritardo, critiche alla società (famosa quella relativa all’aereo personalizzato), e quel rinnovo arrivato tramite punzecchiature.
C’è di tutto, eppure le strade non si sono separate per molto tempo. Così come il rapporto con la tifoseria mai spezzato. Godere della giocata di Luis Alberto era indispensabile. I bambini volevano questo, i papà tornavano piccoli insieme a loro, perchè il Mago riusciva a fermare il tempo. Danzando con il pallone, portando l’Olimpico ad essere coperto da un’aura mistica, dove il brutto non era contemplato.
Tutti osservavano, sperando che la storia non finisse mai. Ma alla fine i titoli di coda sono arrivati, tra tristezza e striscioni dove “diez e pelota” si fondono nel concetto di perfezione che solo i numeri dieci rendono tali. Luis Alberto era un mago unico e pazzo allo stesso tempo, ma si faceva volere bene.
Perchè quando qualcuno accende la luce nell’oscurità, viene visto come punto di riferimento. Lui lo è stato, tra genio, sregolatezza e testardaggine nel cercare il gol da calcio d’angolo. Il tifoso della Lazio pensa a questo. E ride. Intanto sul volto scorre una lacrima d’amore. E il suo calore è il più bello del mondo.