Il 10 giugno 1981, nei dintorni di Roma, un bambino precipitò in un pozzo, dando inizio a un dramma che avrebbe tenuto tutta l’Italia incollata agli schermi televisivi per due giorni: la tragedia di Vermicino. Stasera e mercoledì 12 giugno, Rai 1 trasmetterà in prima visione alle 21.30 la miniserie “Alfredino, una storia italiana”. La serie racconta l’incidente del giovane Alfredo Rampi, noto come Alfredino, e gli eventi che ne seguirono: per 48 ore i tentativi di salvare il bambino attirarono l’attenzione dell’intero Paese, coinvolgendo non solo un massiccio sforzo di soccorso, ma anche l’interesse dei media, della politica e della popolazione.
Quanto tempo è rimasto nel pozzo Alfredino?
Alfredino è rimasto vivo nel pozzo per tre giorni: dal 10 al 13 giugno 1981.
Nel giugno del 1981, Alfredo Rampi, conosciuto affettuosamente come Alfredino, trascorre alcuni giorni di svago con la sua famiglia nella regione tra Roma e Frascati. La sera del 10 giugno, mentre si trova in compagnia del padre e di alcuni amici, il piccolo si allontana e scompare dalla vista del genitore, suscitando l’allarme in famiglia. Le autorità vengono prontamente avvisate e inizia la ricerca del bambino. Tra le zone esaminate figura un terreno vicino alla dimora dei Rampi, dove erano in corso lavori per la costruzione di una nuova casa. Nonostante la presenza di un pozzo, inizialmente si esclude che Alfredino possa esservi caduto poiché l’ingresso è coperto da una lamiera. Tuttavia, un agente di polizia, insistendo per ispezionare il pozzo, riesce ad udire i lamenti del bambino infilandovi la testa, scoprendo così la sua presenza al suo interno. Si scopre in seguito che il proprietario del terreno aveva coperto il buco dopo che il bambino vi era già caduto, ignorando completamente la sua presenza.
Le operazioni di soccorso si dimostrano estremamente complesse sin dall’inizio: l’apertura del pozzo misura appena 28 centimetri di diametro e la galleria si estende per 80 metri, con pareti irregolari. L’uso di una lampada calata nel pozzo rivela che il bambino è bloccato a circa 36 metri di profondità, ostacolato da una sporgenza rocciosa. Il primo tentativo di recupero, che consiste nel far scendere una tavoletta di legno per consentire al bambino di aggrapparvisi, si conclude in tragedia quando la tavoletta si incastra a 24 metri e la corda si spezza, ostruendo ulteriormente il pozzo. Durante la notte, tecnici della Rai giungono sul posto, consentendo ai soccorritori di stabilire un contatto con Alfredino attraverso la loro attrezzatura.
Un successivo tentativo di salvataggio coinvolge un gruppo di giovani speleologi del Soccorso Alpino. Due di loro si calano nella galleria a turno, cercando di rimuovere la tavoletta di legno, ma entrambi falliscono poco prima di raggiungerla. Poiché diventa evidente che non è possibile raggiungere direttamente Alfredino dall’alto, si decide di scavare due tunnel, uno verticale e uno orizzontale, per cercare di raggiungere il punto in cui si trova il bambino. Tuttavia, le operazioni si rivelano difficoltose a causa della durezza del terreno in alcuni punti.
Intanto, le condizioni di Alfredino si deteriorano, e dalla mattina del 12 giugno smette di rispondere ai soccorritori. Nonostante gli sforzi incessanti e i numerosi ostacoli tecnici, le operazioni di salvataggio continuano. La notte del 12 giugno, la perforazione dei tunnel viene completata, ma la scoperta tragica si materializza: il bambino è scivolato più in basso, probabilmente a causa delle vibrazioni del terreno, e si trova a 60 metri di profondità. La soluzione finale è di calare qualcuno nella parte rimanente del pozzo.
Dopo diversi tentativi falliti di speleologi volontari, un uomo coraggioso, Angelo Licheri, decide di affrontare la discesa. Nonostante i suoi sforzi eroici, non riesce a raggiungere Alfredino e viene riportato in superficie senza di lui. Altri volontari si alternano nel tentativo, ma nessuno ha successo.
Verso l’alba del 13 giugno, intorno alle 5:00 del mattino, Donato Caruso, un giovane speleologo di 22 anni proveniente da Avezzano, si unì al tentativo di salvataggio. Giunto anch’egli vicino al bambino, tentò di sollevarlo utilizzando delle fettucce psichiatriche come cappio, ma queste cedettero al primo strattone. Caruso fu sollevato nuovamente fino al punto di partenza per riprendere fiato, quindi fu calato di nuovo nel pozzo, cercando altre soluzioni, tra cui l’uso di manette, un metodo più rischioso anche per il soccorritore, poiché le manette erano collegate alla stessa corda di sicurezza. Tuttavia, anche i suoi sforzi furono vani e Caruso dovette risalire in superficie senza aver raggiunto il suo obiettivo, portando con sé la triste notizia della probabile morte del bambino, che non mostrava più segni di vita.
Intorno alle 9:00 del 13 giugno, dopo numerosi tentativi della signora Franca di chiamare invano suo figlio, venne deciso di calare uno stetoscopio nel pozzo per cercare di rilevare eventuali segni vitali del bambino. Non rilevando alcun battito cardiaco, nel pomeriggio verso le 16:00, una piccola telecamera fornita da tecnici della Rai fu fatta scendere nel pozzo. A circa 55 metri di profondità, la telecamera individuò la figura immobile di Alfredino, privo di movimento e segni vitali. Di conseguenza, fu dichiarata la morte presunta del bambino e, per garantirne la conservazione, su ordine del magistrato competente, il corpo fu immerso in azoto liquido a −200 °C direttamente nel pozzo. Il cadavere fu successivamente recuperato il 11 luglio successivo da tre squadre di minatori provenienti dalla miniera di Gavorrano, 28 giorni dopo la tragica morte del bambino.
Cosa diceva Alfredino Rampi?
Per mettere in comunicazione Alfredino con i suoi genitori, i soccorritori calarono un microfono nel pozzo. Il bambino parlava spesso con sua madre e una delle frasi rimaste nella memoria collettiva è la seguente:
Mamma ho paura, c’e’ tanto buio e freddo qui…
Per la prima volta, la televisione ha trasmesso in diretta continua gli eventi che si sono svolti. Di fronte agli schermi, milioni di italiani hanno seguito con ansia le vicissitudini del bambino. Alle 16.30 del 12 giugno, dopo due giorni di operazioni, è giunto a Vermicino anche il presidente della Repubblica, Sandro Pertini. Ha dialogato con il piccolo attraverso il microfono, rimanendo sul luogo fino alle prime luci dell’alba del giorno successivo. La diretta è proseguita per ben 18 ore.
Intorno alle 9 del 13 giugno, la madre di Alfredino ha tentato di richiamare il bambino più volte, ma senza successo. L’utilizzo di uno stetoscopio, calato nel pozzo, non ha rivelato alcun segno di battito cardiaco. Solo nel pomeriggio, intorno alle 16, una piccola telecamera, fornita dalla Rai, è stata abbassata nel pozzo. Le immagini mostravano il corpo immobile del bambino, una figura che non mostrava più segni di vita.