Dopo il notevole successo della prima trasmissione su Sky di “Alfredino – Una Storia Italiana”, la miniserie ritorna su Rai1 per narrare uno degli eventi di cronaca più discussi e commoventi mai accaduti in Italia. In onda questa sera e domani sera in prima serata, la miniserie diretta da Marco Pontecorvo ripercorrerà la tragedia di Vermicino che vide protagonista Alfredo Rampi, il bambino di sei anni caduto accidentalmente in un pozzo artesiano.

“Alfredino” è una storia vera?

Quella che sarà presentata questa sera è una storia vera, è la ricostruzione fornita da un cast eccezionale di uno dei fatti di cronaca che ha più fortemente colpito l’Italia negli ultimi decenni. Nel 1981, a Vermicino, una frazione nei pressi di Roma, un bambino di nome Alfredo Rampi, di appena sei anni, precipitò accidentalmente in un pozzo artesiano nelle campagne circostanti.

Per ben 48 ore consecutive, i soccorritori tentarono con ogni mezzo di salvare il bambino. Un caso che immediatamente catturò l’attenzione dei media, della classe politica e del pubblico in tutta la nazione. La Rai documentò incessantemente gli eventi, dando vita a una diretta televisiva che rimarrà nella storia del nostro paese, durata ben 18 ore. Persino l’allora Presidente Pertini si recò sul luogo della tragedia quel giorno, seguendo attentamente ogni sviluppo.

Cosa è successo a Vermicino l’11 giugno 1981?

Era il 10 giugno 1981. I genitori del bambino contattarono immediatamente le autorità e i soccorritori, avviando le ricerche a Vermicino, precisamente nella località di Selvotta, tra Roma e Frascati. Non prima della mezzanotte, trovarono il bambino incastrato in un pozzo con un diametro di circa 30 cm e una profondità di circa 80 metri, nelle vicinanze di una villetta. Alfredino era precipitato all’interno del pozzo, e i soccorritori potevano sentirlo. Dopo una prima ispezione, si comprese che era bloccato a circa 36 metri di profondità, dove le pareti del pozzo si stringevano.

Immediatamente furono avviati i tentativi di recupero. Il primo approccio consistette nel calare una tavola legata a una corda, con l’intenzione di far aggrappare Alfredino ad essa per tirarlo in superficie. Tuttavia, questo si rivelò un grave errore, poiché la tavola si incastrò intorno ai 24 metri di profondità e le corde si spezzarono. Il pozzo si ostruì ulteriormente, complicando ulteriormente il recupero. In seguito, alcuni speleologi tentarono di calarsi nel cunicolo per recuperare la tavola incastrata e liberare la via per la risalita, ma senza successo.

A quel punto, il comandante dei vigili del fuoco ordinò lo scavo di un tunnel parallelo al pozzo ma ad una profondità maggiore, seguito da un secondo tunnel sub-orizzontale per raggiungere il punto in cui Alfredino era intrappolato.

Il tunnel parallelo fu completato il 12 giugno alle 19, due giorni dopo l’incidente. Purtroppo, le vibrazioni generate dalla perforazione causarono il movimento delle pareti del pozzo, facendo scivolare Alfredino ancora più in profondità. Si scoprì presto che la perforazione per il recupero arrivava solo fino a 34 metri di profondità, mentre il bambino si trovava già a 60 metri.

Numerosi tentativi di recupero furono intrapresi da speleologi e volontari, che si addentrarono nella fessura per raggiungere il bambino in condizioni sempre più critiche. Come sappiamo, l’epilogo fu tragico: il corpo di Alfredino Rampi fu recuperato da tre squadre di minatori l’11 luglio, quasi un mese dopo la sua scomparsa.

In quel periodo, non esisteva ancora un’organizzazione statale come la Protezione Civile con competenze specializzate per affrontare tali emergenze. Pertanto, alcuni giorni dopo la tragedia, vennero chiamati una ventina di minatori dalle miniere di Gavorrano, in provincia di Grosseto, dove si estrae pirite ferrosa. Pur non essendo soccorritori esperti, la loro familiarità con il sottosuolo e la loro esperienza furono cruciali per il recupero della salma. I minatori, consapevoli dei rischi del terreno, decisero di scavare un pozzo di servizio con un diametro di 80 cm, a una distanza di circa quindici metri dal sito dell’incidente, sapendo che il suolo era instabile e poteva cedere. Spartaco Stacchini, uno dei minatori, raggiunse Alfredino e lo riportò in superficie.