Il 10 giugno 1981, nella campagna circostante Frascati, si verifica un evento tragico che rimarrà impresso nella memoria collettiva. Alfredo Rampi, un giovane di soli sei anni, sta facendo ritorno al suo rifugio familiare nel tardo pomeriggio, ma il suo tragitto verso casa si interrompe drammaticamente. I suoi genitori, preoccupati dal suo ritardo, danno il via alle ricerche, coinvolgendo anche le autorità locali.
Quanto era profondo il pozzo di Alfredino?
È intorno alla mezzanotte che gli agenti, aiutati da unità cinofile, individuano il bambino. Le sue voci sofferte provengono da un pozzo artesiano, la cui apertura è coperta da una pesante lamiera. Il pozzo, stretto e profondo 80 metri, tiene prigioniero Alfredo a 36 metri di profondità. Gli sforzi per comunicare con il bambino e mantenerlo confortato sono incessanti: viene calato un microfono nel pozzo e un Vigile del Fuoco intrattiene Alfredo con storie, mantenendo viva la sua speranza di essere presto liberato.
Per effettuare uno scavo di soccorso, è urgente ottenere una trivella, per cui viene lanciato un appello attraverso i media. Alle 8.30 la trivella è pronta e i lavori di salvataggio hanno inizio. Le prime immagini dei soccorsi, insieme alle voci del bambino, iniziano a circolare attraverso i media. Tuttavia, nonostante gli sforzi incessanti, il tentativo di salvataggio non ha successo.
Quello che doveva essere un caso di cronaca locale diventa un dramma nazionale, seguito da milioni di spettatori attraverso le trasmissioni televisive, che si protraggono per 18 ore di angosciosa attesa. La tragedia di Vermicino tiene il Paese col fiato sospeso, mentre i soccorritori si adoperano instancabilmente per salvare Alfredo, alternando momenti di speranza e preoccupazione.
Il 12 giugno, anche il Presidente della Repubblica Sandro Pertini si reca sul luogo della tragedia per offrire il suo sostegno alla famiglia del bambino. Tuttavia, nonostante gli sforzi disperati, Alfredo Rampi non sopravvive.
Come hanno tirato fuori il corpo di Alfredino?
Dopo tre giorni e tre notti di incessante lavoro, dopo 63 ore di strenue lotte contrapposte a momenti di speranza spezzata, il cuore di Alfredino smise il suo battito. L’apparecchio cardiaco, posizionato nel pozzo, non rilevava più alcun segno di vita. Egli trovò la sua fine nell’oscurità di quel burrone, a sessanta metri sotto terra. Dopo la dichiarazione di morte presumibile, per preservare il corpo, il magistrato di turno ordinò l’introduzione di gas refrigerante nel pozzo, azoto liquido a temperature glaciali. Furono i minatori della Solmine di Gavorrano a recuperare il corpo di Alfredino Rampi dal pozzo. Una squadra composta da 21 minatori volontari si alternò per una settimana dal 4 luglio in questo triste compito. Operarono in tre turni di otto ore, utilizzando martelli pneumatici e picconi.
Durante la notte del 10 luglio, la squadra di turno entrò in contatto con una massa di terreno gelata dall’effetto dell’azoto liquido. La mattina seguente, fu scoperta una gamba del giovane. Successivamente, i suoi pantaloncini rossi emersero dalla terra. Il corpo del bambino era ripiegato su se stesso. Alle 15 del 11 luglio avvenne il recupero definitivo. Spartaco Stacchini, all’epoca 37enne, si incaricò di separare il corpo di Alfredino dalla terra indurita dal gelo. “Quando fu riportato in superficie”, ricordò Stacchini nei resoconti dell’epoca, “era come un blocco di ghiaccio; fu un momento di grande commozione”. Tra i minatori, giovani e meno giovani, molti versarono lacrime. Il corpo del piccolo fu recuperato 31 giorni dopo la sua caduta nel pozzo e ora riposa nel cimitero romano del Verano.