Quello ai danni degli Yazidi, portato avanti dallo Stato islamico tra il 2014 ed il 2017, è l’ultimo genocidio riconosciuto dalle Nazioni Unite, spiega l’attivista yazida Farhad Barakat che parla di circa 10mila uomini morti e seimila donne rapite dall’Isis. Oggi, secondo Barakat, la popolazione è ancora in pericolo e vittima di soprusi da parte degli islamisti.

Gli yazidi sono una minoranza etnica che vive in diversi Stati del Medio Oriente ed ha una religione propria. La loro storia, a causa del differente orientamento religioso, è fatta di genocidi perpetrati da parte delle popolazioni locali di fede islamica. Già durante l’Impero Ottomano, nel XV secolo, la loro dottrina fu bollata come eretica dell’Islam. Nel Dopoguerra furono nuovamente perseguitati dal Regno di Iraq e successivamente dai presidente baathisti al-Bakr e Saddam Hussein. In tanti, in quelli anni, emigrarono verso la Repubblica Democratica Tedesca (Ddr) o altri Stati confinanti. La comunità di Yazidi turchi fu tormentata dal governo di Ankara ed ancora oggi sotto Erdogan vengono segnalati soprusi.

Dal 2003, anno della caduta di Hussein, la questione yazida è rimasta irrisolta nel caos generale che si era generato in Iraq. Nel 2014 però la minoranza etnica è tornata al centro dei dibattiti: lo Stato islamico (Isis) comincia a prendere progressivamente piede nel Medio Oriente, scosso dai conflitti ed indebolito dopo le primavere arabe.

Gli islamisti hanno un solo obiettivo: sradicare quelli che considerava infedeli e tra questi c’erano anche gli yazidi. Bollati come ‘adoratori del diavolo‘, oltre 10mila persone vengono rapite, torturate ed uccise nel nome del Califfato. Le cronache che arrivano da quei difficili giorni sono spaventose: chi non periva per mano dei miliziani islamisti veniva reso schiavo e trattato alla stregua di un animale.

Il genocidio degli Yazidi, Barakat: “Hanno ucciso 10mila uomini e rapito 6mila donne”

Ma il genocidio degli Yazidi è davvero terminato? Stando alle stime delle Nazioni Unite la strage perpetrata dagli islamisti sarebbe terminata nel 2017 provocato circa 5mila morti, 500mila sfollati e 10mila persone rapite, torturate o stuprate. Numeri poco chiari e che potrebbero essere molto più alti, secondo l’attivista Barakat che spiega a Tag24 che il genocidio non è mai terminato: le fosse comuni dove sono stati sepolti migliaia di yazidi non sono state mai aperte e molte persone risultano disperse o senza una casa.

La minaccia dell’Isis è stata fortemente ridimensionata ma le cicatrici nel Medio Oriente di quella lotta contro il terrorismo sono ancora sotto gli occhi di tutti. Oggi ricostruire è difficile ma lo è ancora di più per chi nella sua storia è sempre stato maltrattato. Lo scorso anno, in occasione del ventennio dallo scoppio della guerra in Iraq, si è tornati a parlare del genocidio.

Barakat: “Il genocidio non è mai finito…”

D: Oggi cosa resta del genocidio degli yazidi?

R: Purtroppo è ancora in corso. Le fosse comuni non sono mai state aperte, i resti non sono mai stati identificati. Tante persone sono ancora disperse e molte vivono nei campi per i profughi in Iraq. In tutto questa la migrazione di giovani yazidi prosegue. In queste condizioni è impossibile considerare il genocidio finito“.

D: Pensi che le organizzazioni internazionali vi abbiano aiutati tra il 2014 ed il 2017?

R: “All’epoca nessuna organizzazione ci ha aiutato. Siamo rimasti bloccati sul monte Sinjar, dove la nostra gente è stata uccisa, rapita e morta a causa della mancanza di cibo e acqua”.

D: Le cose sono cambiate? Quanto lavoro resta ancora da fare sulla prevenzione dei genocidi a livello internazionale?

R: “È necessario più aiuto. Essendo una minoranza etnica e religiosa non ci sentiamo ancora al sicuro in Iraq. L’Isis ci ha bollati come non credenti e infedeli che dovrebbero essere uccisi. Abbiamo bisogno di garanzie reali da parte del governo iracheno e della Comunità Internazionale per evitare che avvenga un altro genocidio.

Il racconto di quegli anni: stupri, uccisioni e violenze nel nome del Califfato

D: Come è stato perpetrato il genocidio da parte dello Stato Islamico?

R: “L’Isis si è presentato sotto la maschera della legge islamica della Sharia, dichiarando che i non musulmani dovevano essere uccisi e che i musulmani non sunniti avrebbero dovuto pagare la Jizya.
Consideravano gli yazidi come infedeli e adoratori del diavolo ed hanno ucciso oltre 10mila uomini, rapendo più di 6000 donne e ragazze e uccidendo oltre 500 anziani. Oltre 550mila persone sono state cacciate dal Sinjar al Kurdistan e ad altre parti dell’Iraq, e più di 100mila sono emigrate all’estero. Alcuni musulmani sunniti del Sinjar hanno aiutato l’Isis a commettere queste atrocità”.

D: Credi che oggi gli yazidi siano ancora in pericolo?

R: Sì, credo che siamo ancora in pericolo. Non abbiamo potere e siamo soli, nessuno sta dalla nostra parte. Abbiamo assistito alle atrocità dell’Isis e nessuno li ha fermati. Anche adesso dobbiamo affrontare discorsi di odio e minacce da parte delle comunità in cui viviamo“.

La difficile ‘ricostruzione’

D: Dove vive oggi la maggior parte degli yazidi?

R: Gli yazidi ora vivono in diversi Stati europei e non. Comunità sono presenti in Iraq, Turchia, Siria, Russia, Armenia, Georgia. Ma anche in Germania, Paesi Bassi, Francia, Svezia, Belgio, Regno Unito, Svizzera, Austria, Norvegia, Grecia, Stati Uniti, Canada ed Australia.

D: Quali pensi siano i prossimi passi verso l’autodeterminazione del popolo yazida?

R: Vogliamo trasmettere il vero messaggio della nostra comunità, che ha dovuto affrontare più di 74 genocidi nel corso della storia. Per noi vivere tra queste persone è molto complicato. Molti yazidi, come cristiani ed ebrei, stanno lasciando l’Iraq in cerca di una nuova vita in un altro Paese.

D: Cosa pensi di quanto sta accadendo in Medio Oriente? C’è il rischio di un nuovo genocidio in quelle zone?

R: “Siamo una comunità pacifica che disprezza la guerra e la violenza, preferendo la pace e la convivenza. Tuttavia, quando sorgono conflitti, noi, come minoranza religiosa, naturalmente ci preoccupiamo. Temiamo che nessuno ci proteggerà dall’essere uccisi o dal diventare vittime di un altro genocidio.”