La storia vuole che il giorno in cui fu chiamata al patibolo insieme al marito, suo complice, Lavinia Fisher – vestita da sposa – si rivolse agli astanti con le seguenti, inquietanti parole: “Se qualcuno di voi ha un messaggio per il diavolo me lo dia ora, perché lo vedrò tra poco”. Fino all’ultimo minuto aveva sperato di essere graziata: nessuna donna era mai stata condannata a morte nel South Carolina. Sarebbe stata la prima.
La vera storia della serial killer Lavinia Fisher
Le poche notizie sulla sua vita
Quando fu impiccata, nel febbraio del 1820, Lavinia Fisher aveva 27 anni e insieme al marito, John Fisher, era stata condannata per aver mietuto diverse vittime (quante, di preciso, non è mai stato chiarito), tentando anche la fuga dal carcere. Di lei e della sua vita non si sa molto; le foto però mostrano che era bellissima.
La leggenda cucita attorno alla sua storia vuole che, grazie al suo fascino, riuscisse ad attirare senza problemi i viandanti che di volta in volta si fermavano per la notte nella locanda che gestiva, la Six Mile Wayfarer House, a sole sei miglia dalla città di Charleston, in delle trappole, convincendoli a rivelarle quali averi avessero portato con loro prima di ucciderli e di derubarli con la complicità dell’uomo che aveva sposato.
Gli omicidi commessi insieme al marito
Il modus operandi era sempre lo stesso: Lavinia e il marito offrivano ai malcapitati una semplice tazza di tè e, dopo averli narcotizzati, li finivano – secondo alcuni – strangolandoli o accoltellandoli. Secondo altri, somministravano loro direttamente del veleno.
Ma c’è anche chi dice che alla donna bastasse tirare una leva per farli cadere dai loro letti all’interno di un fossato pieno di lame. Il movente? Di tipo economico. Prendere possesso del denaro che gli uomini, viaggiando per affari, si portavano dietro.
Furono scoperti e arrestati quando un ragazzo di nome David riuscì a sopravvivere a un loro tentato omicidio e raccontò agli investigatori della zona l’accaduto. Nel corso di una perlustrazione della locanda questi ultimi si imbatterono negli oggetti appartenuti ad almeno un centinaio di viaggiatori; i corpi di molti di loro giacevano, smembrati, nel terreno circostante.
La condanna a morte
La speranza della Fisher, dopo la condanna, era di poter essere graziata: nessuna donna, all’epoca dei fatti, era stata infatti condannata a morte, nel South Carolina. Sarebbe stata la prima. Il giorno dell’esecuzione, una fredda mattina di febbraio del 1820, si vestì da sposa, con un abito rosso e bianco, e insieme al marito si recò al patibolo.
L’ipotesi più accreditata è che i loro corpi siano stati sepolti all’interno del cimitero per i morti non reclamati dalle famiglie della prigione in cui erano stati reclusi. Secondo alcuni, però, sarebbero conservati nel cimitero della chiesa di Charleston, accanto al corpo del giudice che li condannò a morte e il fantasma della donna – una sorta di “sposa cadavere” – sarebbe stato visto più di una volta aggirarsi nei dintorni.
La sua storia, inquietante e drammatica, è stata ripercorsa nel dettaglio dal giornalista Fabio Camillacci e da Marino D’Amore, docente di sociologia dell’Unicusano e criminologo, nel corso di una puntata di “Crimini e criminologia” andata in onda su Cusano Italia Tv. La serie, intitolata “La Galleria degli Orrori” ha trattato anche altri casi, tra cui quello, forse più noto, di Aleksandr Picuskin.