“L’Arte della Gioia” è originariamente nata come serie tv prodotta da Sky ed è stata presentata in anteprima al Festival di Cannes, ma si è poi deciso di trasformarla in un film in due atti di cui la prima parte è uscita al cinema lo scorso 30 maggio e la seconda uscirà il prossimo 13 giugno. Con la regia Valeria Golino, la storia di questo lungometraggio è ambientata in Sicilia durante i primi del ‘900 ed è tratta dall’omonimo romanzo postumo di Goliarda Sapienza, pubblicato per intero nel 1998 a due anni dalla morte della scrittrice. Nel cast troviamo Tecla Insolia, Jasmine Trinca e Valeria Bruni Tedeschi.

“L’Arte della Gioia”, recensione

Inizi del ‘900. Sicilia.
Tra le campagne selvagge una bellissima bambina giace sdraiata su un cumulo di terra secca, col volto ricoperto di fango. Trovata da un gruppo di braccianti, viene portata in salvo e lasciata alle cure delle suore di un convento di zona. Si chiama Modesta (Tecla Insolia), ha nove anni e ha appena perso entrambi i genitori e la sorella, affetta dalla sindrome di Down, in un brutto incendio che ha dato alle fiamme la casa nella quale è cresciuta e che ha bruciato i corpi dei suoi cari consumandoli, con una rapidità infernale, in un pugno di ceneri. Modesta viene lavata tutta, vestita con eleganza e finanche i capelli le vengono acconciati in un raccolto di trecce che le incorniciano il viso. È ancora piccina piccina, col fisico minuto e denutrito, ma ha le guance così tonde che ti vien voglia di prenderle a pizzichi. Ha un volto splendido illuminato da due occhi nocciola che alla luce del sole, cangianti, diventano dello stesso colore del miele, il nasino tondo e le labbra morbide e piene come due cuscinetti. A una prima occhiata potrebbe proprio sembrare una piccola principessa e per quel gruppo di monache di clausura diviene subito come una bambola, divertendosi a turno a prendersene cura, sconvolgendo le loro giornate, cupe e monotone, ritrovando la gioia come delle bimbe che giocano a fare le mamme.

Piano piano però verrà fuori tutta la natura vivace e inarrestabile di quella fanciulla dall’aspetto principesco, cresciuta libera come un animale randagio e senza ricevere un’adeguata istruzione. Non conosce le buone maniere, non sa né leggere né scrivere, come un cucciolo fa i bisogni dove capita, mangia con una tale voracità che pare non venga nutrita da anni, afferra e acchiappa qualunque pietanza le capiti a tiro mordendola freneticamente e mandandola giù a pezzi talmente grossi che quasi ci si strozza. È golosa e affamata, di cibo e di conoscenza, come se dentro di sé si muovesse sfrenato un terremoto. Parla solo in dialetto esprimendosi come un contadino, è impossibile domarla e corre a destra e a manca sfuggendo alle suore, facendole impazzire. Ma Leonora (Jasmine Trinca), la madre superiora, si innamora proprio di questa sua indole scapestrata e decide di non mandarla in orfanotrofio, ma di allevarla in convento in mezzo a loro.

Modesta cresce imparando la storia, la geografia, la grammatica e a riconoscere le costellazioni e le stelle, sotto l’ala protettiva di Leonora, che la tratta come fosse la figlia. Senza troppo imbarazzo, quest’ultima, non nasconde affatto che tra tutte lei è la sua favorita; la osserva quasi incessantemente, la cerca, le sorride, a tarda sera passeggiano insieme, percorrendo quel verde prato che circonda le mura del cenobio, osservando il cielo l’una di fianco all’altra come due innamorate. Una notte, dopo aver corso sotto la pioggia per cercare riparo, rientrano nella stanza di una delle due e si coricano nello stesso letto. Giacendole di fianco, Modesta, fingendo di dormire sentirà Leonora gemere mentre smaliziata si provoca piacere con la mano. Da quel momento i pruriti adolescenziali di Modesta, difficilmente tenuti a bada, diverranno ancor più pulsanti torturandola con un sospinto ardore quasi incessante in mezzo alle sue giovani cosce dalla pelle chiara e levigata. Difatti da tempo considerevole ormai si sente violentemente attratta da quella donna che è stata per lei una sorta di madre, afflitta dalla frustrazione di una bramosia sessuale che non le concede tregua.

Proprio a causa di questa dirompente fascinazione un giorno si getterà tra le braccia di Leonora tentando di baciarla, ma ella però la rifiuterà con orrore allontanandola e punendola. Verrà infatti rinchiusa in una cella di penitenza, costretta a meditare sul peso delle sue gravose azioni ritenute oscene. Quel dolore struggente sarà il suo tormento: le strazierà le carni, il petto, la coscienza violata. Esattamente come un’innamorata non corrisposta, Modesta soffrirà fino a consumarsi supplicando appello alla sua amata che è passata dall’essere con lei emotivamente ambigua, al diventare di una meschinità fredda e desolante. E così quel grande amore si trasformerà in odio cieco, che darà la forza alla giovane di reagire imparando a fingere le emozioni per ritrovare il perdono al fine di ottenere tutto ciò che desidera. Lusinghe e apparentemente ingenue moine saranno il suo nuovo credo per raggiungere la rivalsa tanto sperata per punire colei che un tempo amava e che adesso detesta senza freni.
Riuscirà Modesta ad assaporare il sapore dolce e velenoso della maligna vendetta? Potrà mai uscire davvero da quelle mura e vivere la sua sessualità emancipata da donna libera?

“L’Arte della Gioia”, critica

Presentato in anteprima al Festival di Cannes, “L’Arte della Gioia” è il nuovo capolavoro cinematografico di Valeria Golino nata come serie tv, ma poi divenuto un film in due atti: la prima parte è uscita nelle sale italiane lo scorso 30 maggio e la seconda uscirà il 13 giugno.
L’attrice, sceneggiatrice e regista ha deciso di portare sul grande schermo la trasposizione dell’omonimo romanzo di Goliarda Sapienza che fu ultimato nel 1976, ma di cui ne venne pubblicato un pezzo per la prima volta soltanto nel 1994 e per intero nel 1998, a due anni dalla morte della scrittrice. Goliarda Sapienza e Valeria Golino, nonostante la notevole differenza di età, per un breve periodo sono state unite da un profondo legame d’affetto e difatti la scrittrice confessò che per il personaggio della protagonista si ispirò liberamente all’amica.

Quest’opera magistrale di rara bellezza è, a tutti gli effetti, un romanzo a immagini animate: sentendo i dialoghi e i monologhi, pare proprio di ascoltare un audiolibro. Immorale, scostumato, scandaloso, dall’erotismo talmente dirompente che puoi percepirlo vivido anche nelle scene non di sesso, dissoluto, affascinante, poetico, passionale e violento, dalla spregiudicatezza irriverente. Un manifesto dell’emancipazione femminile. La fotografia è a dir poco meravigliosa. Tutto di questo lungometraggio è dannatamente affascinante. Non stanca mai, nonostante entrambe le parti siano notevolmente lunghe perché, come già detto, originariamente nata come serie tv.

Ottima la recitazione di tutto il cast nel quale troviamo anche la bravissima Tecla Insolia nel ruolo principale, Jasmine Trinca nella parte della priora e Valeria Bruni Tedeschi che interpreta la madre di Leonora. Ci tengo a sottolineare il sorprendente talento della giovanissima Tecla Insolia, cantante oltre che attrice, che mi ha colpita particolarmente con le sue doti attoriali. Devo ammettere con grande contentezza che dopo aver visto questa pellicola sono uscita dal cinema euforica e felice, come colta da una vivace allegria inarrestabile.
Quattro stelle e mezzo su cinque.