Diventare madre oltre l’orologio biologico: un tema più che mai in voga. L’ultima a parlarne, in un’intervista a Vanity Fair, è stata la cantante Elodie:

Un figlio? Sto pensando se congelare gli ovuli.

Prima di lei, altre donne famose- come la modella Bianca Balti e le attrici Ludovica Coscione e Matilde Gioli– hanno parlato della pratica del ‘social freezing’. Ossia la crioconservazione degli ovociti per poter realizzare il proprio desiderio di maternità anche oltre l’età concessa dalla natura, in assenza di un partner o a causa di alcune patologie.

Ma in cosa consiste esattamente e quali sono i suoi limiti? TAG24 ne ha parlato con la dottoressa Eleonora Porcu, specialista in ostetricia e ginecologia, docente all’Università di Bologna, membro del Consiglio superiore di Sanità nonché pioniera della procreazione assistita.

Crioconservazione degli ovociti, come funziona e quali sono i rischi? La dottoressa Porcu: “Un supporto per una gravidanza futura, non una garanzia assoluta”

La tecnica della crioconservazione degli ovociti è nata per dare una speranza di maternità alle pazienti con cancro, che avrebbero dovuto affrontare la chemioterapia e quindi una potenziale condizione di sterilità legata ai farmaci, spiega la dottoressa Porcu. Oggi, però, viene usata- oltre che per ragioni strettamente mediche-anche da donne sane che intendono posticipare una gravidanza per diversi motivi, sia professionali che personali.

Come sottolinea l’esperta, unicamente per questa scelta personale, il congelamento degli ovociti è stato definito anni fa ‘social freezing indicandone le motivazioni sociali, non patologiche. Oggi la procedura con indicazioni non mediche viene definita ‘crioconservazione elettiva degli ovociti’.

“Per essere efficace gli ovociti devono essere giovani, quindi l’età consigliata è intorno ai 30 anni. In linea di massima dopo i 35 anni comincia a perdere di significato. Poi, naturalmente, c’è una variabilità individuale. Da donna a donna può esserci una diversa riserva ovarica, quindi minori o maggiori possibilità di recuperare ovociti sani, numerosi e di buona qualità” spiega.

Pur essendo una tecnica medica collaudata, non è di certo priva di rischi, di cui le donne spesso non sono consapevoli o adeguatamente informate.

“Quella della crioconservazione degli ovociti non va considerata come una tecnica a cui ricorrere in un certo momento della vita. Mettere da parte degli ovociti non dà una garanzia assoluta di avere un bambino” sottolinea la dottoressa Porcu. “Questo deve essere molto chiaro: bisogna considerare questa variabilità individuale, della biologia e della medicina, che non sono prevedibili”.

Per crioconservare gli ovociti è necessario che la donna si sottoponga a un trattamento con farmaci per stimolare l’ovulazione che, come tutti i medicinali, possono avere potenziali effetti collaterali.

“Quello più importante è la sindrome da iperstimolazione ovarica. Significa che le ovaie si ingrossano e possono formarsi cisti che producono del liquido, finendo nel peritoneo e dando origine a complicanze anche coagulative o renali “spiega la dottoressa Porcu.

L’incidenza statistica di questa complicanza non è elevata: “Però si può presentare in modo severo, quindi è importante esserne a conoscenza”.

Dopo la stimolazione ovarica, alla donna vengono aspirati i follicoli, che contengono gli ovuli. Si tratta di un intervento chirurgico, che non è invasivo e viene effettuato per via transvaginale.

“C’è sempre, però, un rischio potenziale di perforazioni o infezioni. L’eventualità di complicazioni è anche legata all’accuratezza con cui sono state effettuate le indagini preliminari, per controllare che non siano presenti patologie non diagnosticate. Come, ad esempio, l’endometriosi” afferma l’esperta.

Infine, gli ovociti. Il loro numero può variare in base a diversi fattori. Non è detto che, una volta scongelati per poterli utilizzare, riescano a sopravvivere.

“In alcuni casi può verificarsi una sopravvivenza del 100%, in altri casi può invece essere inferiore”. L’intera procedura, quindi, ha degli step da superare. E, ovviamente, dei costi.

In Italia, in linea di massima, il prezzo per il trattamento oscilla tra i tremila e i quattromila euro. A cui aggiungere la tariffa annuale per la loro conservazione.

Crioconservazione degli ovociti, una scelta a cui le donne non devono essere costrette a ricorrere: “Ribelliamoci a una società che vede la gravidanza come uno stigma”

Cosa pensa la dottoressa Porcu di questa scelta fatta da una donna non per motivi di salute, ma piuttosto per non avere ripercussioni sul lavoro?

“Io, come tante altre donne, ho affrontato tutte le fatiche e le difficoltà per riuscire a ottenere un riconoscimento della propria validità professionale” racconta.

“Ho aspettato di essere assunta all’università prima di avere un bambino. Poi, quando sono rimasta incinta- fortunatamente senza difficoltà, quando l’ho deciso- ho nascosto la mia gravidanza. E questo perché siamo vittime dei luoghi comuni che vogliono una donna incinta poco affidabile, meno capace di concentrarsi. Conosco bene il tormento dell’essere innamorata del proprio lavoro, ma di non voler rinunciare al progetto di creare una famiglia”.

La dottoressa sottolinea come alcune aziende negli Stati Uniti (Apple e Facebook, in primis) avessero offerto alle proprie dipendenti di congelare i propri ovuli, in modo da non avere “distrazioni” per la carriera. Progresso? Macché, tutt’altro: “Un’estrema violenza”.

“Proprio da donna, da professionista e da persona che ha elaborato e diffuso questa metodologia (la crioconservazione degli ovociti, ndr), ritengo che dovremmo ribellarci all’idea di sottoporci a un intervento chirurgico da persone sane perché il mondo lavorativo o la società non ci lascia quello spazio, legittimo, per avere un bambino quando lo vogliamo. Cioè quando il nostro profilo biologico è ottimale” sottolinea.

La PMA? Serve a superare alcuni ostacoli: “Ma non ha un potere taumaturgico”

Dalla crioconservazione degli ovociti alla PMA il passo è breve. Perché la Procreazione Medicalmente Assistita è una tecnica a cui le coppie ricorrono quando c’è una diagnosi di infertilità e su cui si è generato “un equivoco”, secondo la dottoressa Porcu.

“Prima di tutto bisogna chiarire molto bene che la PMA non è un strumento che sconfigge la vulnerabilità del sistema riproduttivo di noi donne. Non si può arrivare a 45 anni e dire: ‘Adesso sono pronta per avere un bambino: se non ci riesco naturalmente c’è la PMA’. I risultati sono legati all’età degli ovociti, non alla metodologia” evidenzia.

“La PMA funziona soltanto se si hanno degli ovociti ancora in grado di essere fecondati e dare origine a un embrione sano, capace di impiantarsi e di condurre a una gravidanza con la nascita di un bambino altrettanto sano. Quindi è un processo che dipende dalla ‘materia prima’ che mettiamo noi donne, molto di più di quella che ci mettono gli uomini. Nonostante l’età non sia una variabile indifferente neanche per loro”.

Gli uomini, infatti, non smettono di produrre spermatozoi con l’avanzare dell’età, come succede alle donne con gli ovociti. Ma comunque possono essere sempre di meno e con caratteristiche che contribuiscono alla nascita di un bimbo non sano.

“La PMA è stata inventata negli anni ’70 per le donne con le tube di Falloppio chiuse, poi è stata estesa agli uomini con forme severe di infertilità. Una condizione che può verificarsi quando gli spermatozoi sono scarsi, lentissimi in termini di motilità o addirittura assenti” spiega la ginecologa.

Oggi viene applicata quasi a tappeto se non si raggiunge una gravidanza, pensando che prima o poi un bimbo arrivi. Questa eccessiva speranza risposta nella PMA è uno dei motivi per cui la scelta della maternità viene posticipata”.

Parliamo, ovviamente, di fecondazione omologa, quando i gameti sono della coppia. E’ possibile ricorrere anche alla fecondazione eterologa, con ovociti o seme da donatori (giovani e in salute): i tassi di successo risultano essere più elevati, data l’accurata selezione.

Secondo gli ultimi dati del Ministero della Salute, in 20 anni-ossia da quando il registro nazionale della PMA è stato istituito dalla legge 40/2004 presso l’ISS- i trattamenti e i tassi di gravidanza sono raddoppiati. Oltre 217.000 bambini sono nati grazie a questa metodologia.

“Ultimamente sta passando il messaggio che la scienza abbia ormai fatto progressi tali da risolvere tutti i problemi. Purtroppo non è così e le donne sono quelle che, alla fine, devono scontrarsi con la dura realtà della riduzione della riserva ovarica e della scarsa qualità degli ovociti”.

Affrontare un percorso di PMA non è semplice per una donna, né da un punto di vista fisico, né da quello psicologico. Nonostante economicamente possa essere considerato più accessibile, in quanto previsto anche tramite SSN.

Può capitare che le coppie si sfascino nel percorso, quindi bisogna valutare bene le proprie motivazioni e, se necessario, richiedere un sostegno per sé e per il partner. Non è niente di invasivo, ma è fatto di tante piccole tappe da superare: le visite, gli esami, la diagnosi se ne arriva una (l’infertilità può essere anche inspiegata, sine causa, ndr). Poi subentrano le punture tutti i giorni, le ecografie a giorni alterni, eventuali effetti collaterali”.

L’augurio della dottoressa Porcu è che avvenga finalmente un cambiamento nella società a favore delle donne.

“La scienza può dare una grossa mano, ma il ruolo della società è fondamentale. Le donne non devono più essere costrette a scegliere tra maternità e lavoro. E quindi ricorrere al cosiddetto ‘social freezing’ o alla Procreazione Medicalmente Assistita, senza alcuna garanzia per il futuro”.