Antonella Di Veroli aveva 47 anni quando, nell’aprile del 1994, fu trovata senza vita all’interno dell’appartamento in cui viveva, in via Domenico Oliva, nel quartiere Montesacro di Roma, dopo essere scomparsa nel nulla per due giorni: il suo corpo era stato nascosto all’interno di un armadio della sua camera da letto.

L’autopsia stabilì che era morta asfissiata dopo essere stata tramortita con due colpi di pistola da qualcuno che, con molta probabilità, le aveva anche somministrato dei tranquillanti: la sua identità, a distanza di trent’anni, non è ancora stata accertata. Per questo la famiglia, attraverso l’avvocato Giulio Vasaturo, che la rappresenta, ha chiesto nuove indagini alla Procura.

Chiesta la riapertura delle indagini sull’omicidio di Antonella Di Veroli, la “donna dell’armadio”

Secondo i giornalisti Diletta Riccelli e Flavio Maria Tassotti, che di recente hanno scandagliato tutti gli atti prodotti sul caso, mettendone in evidenza gli errori e le contraddizioni, si potrebbe finalmente arrivare alla verità. Gli elementi da approfondire sarebbero molti.

Attraverso le nuove tecniche d’indagine si potrebbe verificare, ad esempio, se sul bossolo della pistola da collezione che fu usata per sparare alla 47enne, rinvenuto sulla scena del crimine, ci siano tracce di Dna. Ma si potrebbe anche cercare di fare luce sulla misteriosa telefonata che, secondo le ricostruzioni, la notte dell’omicidio, quella tra il 10 e l’11 aprile del 1994, partì proprio da casa di Antonella.

Intorno alle 22.45 la donna aveva detto alla madre, che l’aveva chiamata, che a breve sarebbe andata a dormire. L’ipotesi, quindi, è che sia stata uccisa da qualcuno che la conosceva e a cui lei, senza problemi, avrebbe aperto il portone in pigiama. Lo pensa anche la sorella, Carla.

“Mi auguro che la Procura di Roma riapra l’inchiesta e che finalmente si possa fare luce su chi uccise mia sorella – ha dichiarato a “Crimini e criminologia” su Cusano Italia Tv -. Conto sulle nuove tecniche scientifiche per arrivare alla verità. Antonella merita la verità soprattutto alla luce del fango che la stampa le gettò addosso solo perché a 47 anni era ancora single e non si era mai sposata”.

“Credo che bisognerebbe ripartire anche dalla testimonianza della vicina di casa, che sentì i passi di due soggetti che inizialmente vennero attenzionati (dalle indagini, ndr). Quella pista fu trascurata – ha aggiunto -. Voglio la verità anche per dimenticare l’orrore davanti al quale mi trovai quando fu scoperto il cadavere di mia sorella. Fu uno shock al punto che per anni ho avuto paura di aprire gli armadi. Ricordo quel momento come se fosse ieri”.

Le parole della sorella e della nipote della vittima

Era il 12 aprile del 1994: Antonella era scomparsa da un paio di giorni quando fu trovata morta. “Una cosa è certa – ha detto ancora la sorella rispondendo alle domande dei giornalisti Fabio Camillacci e Gabriele Raho – conosceva il suo assassino“. È un dettaglio su cui in molti concordano. Così ne ha parlato anche la nipote della vittima, Alessandra Desoindre, all’epoca 15enne:

“L’assassino sapeva tutto, sapeva che mia zia era sola in casa. Era sicuramente una persona che lei conosceva benissimo, una persona con cui aveva molta confidenza e di cui pensava di potersi fidare”. Perché potesse volerla morta è un interrogativo a cui né lei né il resto dei familiari sono riusciti mai a rispondere. Delle idee, però, se le sono fatte.

“Mia zia era una persona buona”, ha spiegato. E poi ha concluso: “Sicuramente ad ucciderla è stata una persona che voleva metterla a tacere. Qualcuno che non voleva che mia zia parlasse. Probabilmente aveva scoperto qualcosa ed era pronta a rivelarla. L’assassino si è messo paura e ha fatto in modo che non parlasse più”.