I giudici della Corte d’Assise di Roma hanno condannato a 21 anni e un mese di reclusione il 44enne filippino Renato Peralta, accusato dell’omicidio del connazionale Michael Lee Pon, consumatosi in strada, a pochi passi dalla stazione della metropolitana di Valle Aurelia, il 19 febbraio dello scorso anno.
Condannato a 21 anni di reclusione Renato Peralta, accusato dell’omicidio del filippino Michael Lee Pon
“Non potevo parlare prima perché non avevo l’avvocato. Adesso prendetevi cura di mio figlio. Sto andando dai carabinieri”, aveva confessato Renato Peralta in due video diventati virali all’interno della comunità filippina prima di essere arrestato.
Due giorni prima si era macchiato dell’omicidio del connazionale Michael Lee Pon, di 50, nei pressi della stazione della metropolitana di Valle Aurelia, a Roma. Era il 19 febbraio del 2023. L’uomo, oggi 44enne, accoltellò la vittima con un unico fendente al torace, venendo ripreso da una telecamera di videosorveglianza.
Secondo la Procura – che aveva chiesto ai giudici di condannarlo a 22 anni di reclusione – agì non solo con crudeltà – lasciando Lee Pon a terra, agonizzante, “mentre vomitava sangue” – ma anche per futili motivi, colpendolo per “poche decine di euro”. Lo riporta il quotidiano online Open citando la requisitoria della pm Silvia Sereni.
Il movente sarebbe legato a un debito contratto dal 44enne nei confronti della vittima per delle dosi di shaboo che avevano fumato insieme. Si tratta di una droga sintetica, dall’effetto eccitante, molto comune tra le comunità di immigrati del Sudest asiatico.
La tesi della difesa
Sembra che il giorno dell’omicidio i due avessero un appuntamento. La difesa sostiene che sia stato Lee Pon a cercare Peralta e non il contrario. E afferma che il secondo colpì il primo per difendere sé stesso e il figlio 16enne (ora accusato di concorso in omicidio) da una sua presunta aggressione, senza alcuna “intenzione di ucciderlo”.
L’omicidio di Michelle Causo a Primavalle: le similitudini
L’omicidio di Lee Pon ha dei punti in comune con quello di Michelle Causo, consumatosi il 28 giugno dello scorso anno nel quartiere Primavalle di Roma: anche la 17enne, come il 50enne, è stata accoltellata e poi lasciata agonizzante senza essere soccorsa. Anche la 17enne, come il 50enne, aveva un appuntamento con il suo aguzzino, un suo coetaneo, il giorno dell’aggressione.
O.D.S., queste le iniziali del suo nome, ha raccontato agli inquirenti di aver agito perché spaventato dal fatto che la ragazza gli avesse puntato contro una pistola (che solo dopo avrebbe scoperto essere finta). Il motivo? Riscuotere un debito di qualche decina di euro che lui aveva contratto nei suoi confronti dopo una compravendita di droga.
Gli inquirenti non gli hanno mai creduto (anche perché la pistola, stando a quanto ricostruito da alcuni filmati, sarebbe appartenuta a lui) e lo hanno rinviato a giudizio con le accuse di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, vilipendio e occultamento di cadavere.
Di recente i professori Stefano Ferracuti e Giuseppe Sartori, che lo hanno sottoposto a degli accertamenti di tipo psichiatrico su incarico del tribunale per i Minori, lo hanno giudicato “capace di intendere e di volere” e di “stare a processo”. I genitori della vittima si aspettano che paghi per ciò che ha fatto “come un adulto”.