La Corte Suprema di Cassazione, Sezione Lavoro, ha emesso un’ordinanza interlocutoria riguardante il licenziamento di un dirigente durante il blocco dei licenziamenti imposto dalla pandemia COVID-19. Il caso verte sull’applicabilità del divieto di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo ai dirigenti.

Divieto di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo: quando si applica

Un dirigente licenziato il 31 agosto 2020, ha contestato il licenziamento per violazione del divieto di licenziamento durante la pandemia. La Corte territoriale ha dichiarato nullo il licenziamento, ritenendo che il divieto di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo si applicasse anche ai dirigenti. Tuttavia, la società ha impugnato la decisione sostenendo che i dirigenti non rientrano nella categoria protetta dal divieto di licenziamento, in quanto soggetti al regime di recesso ad nutum.

Interpretazione della Legge

La Corte Suprema ha esaminato se l’art. 14, co. 2, d.l. n. 104/2020, che estende il divieto di licenziamento individuale, includa i dirigenti. La normativa prevede il divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ma non menziona esplicitamente i dirigenti, i quali sono storicamente esclusi da tale protezione. La Corte ha ribadito che il licenziamento dei dirigenti è regolato da norme specifiche e non dalla legge n. 604/1966, che disciplina i licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo per i dipendenti non dirigenti.

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte Suprema ha quindi stabilito che i dirigenti non sono soggetti al divieto di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo previsto dall’art. 14, co. 2, d.l. n. 104/2020. La normativa emergenziale, che estende il blocco dei licenziamenti ai dipendenti non dirigenti, non può essere interpretata in modo da includere i dirigenti. Pertanto, il licenziamento del dirigente preso in esame, essendo stato eseguito per motivi economici e organizzativi, non è soggetto al blocco dei licenziamenti e non può essere dichiarato nullo per questo motivo.

Licenziamento collettivo e individuale: differenze

La disciplina del licenziamento collettivo, a differenza di quella del licenziamento individuale, include anche i dirigenti. Questo è stato confermato dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 13 febbraio 2014, che ha condannato l’Italia per non aver incluso i dirigenti nella procedura di licenziamento collettivo. Il Parlamento Italiano ha quindi modificato la legge n. 223/1991 con la legge n. 161/2014, estendendo la procedura ai dirigenti. Di conseguenza, il blocco dei licenziamenti collettivi disposto dall’art. 46 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, si applica anche ai dirigenti.

Asimmetria di tutela

Tuttavia, c’è una asimmetria di tutela tra i dirigenti e i dipendenti non dirigenti. Mentre il blocco dei licenziamenti collettivi riguarda anche i dirigenti, il blocco dei licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo non si applica ai dirigenti. La Corte ha osservato che questa disparità non è superabile attraverso un’interpretazione costituzionalmente conforme della norma emergenziale. La norma testualmente fa riferimento al recesso “per giustificato motivo oggettivo” ai sensi dell’articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, che esclude i dirigenti.

Ragioni di costituzionalità

La Corte ricorda che l’interpretazione costituzionalmente orientata di una norma deve optare per una soluzione conforme alla Costituzione. Tuttavia, nel caso in esame, l’interpretazione offerta dai giudici d’appello non è conforme, dato l’esplicito richiamo al recesso “per giustificato motivo oggettivo” ai sensi dell’articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604. La nozione di “giustificato motivo oggettivo” è giuridicamente rilevante solo per i rapporti di lavoro subordinato non dirigenziali.

Divieto temporaneo di licenziamento: non esiste diversità tra licenziamento collettivo e individuale

L’esclusione dei dirigenti dal blocco dei licenziamenti individuali rappresenta una lacuna normativa che non può essere colmata tramite applicazione analogica. Il blocco dei licenziamenti è un’eccezione temporanea ai normali poteri datoriali, fondati sul rischio di impresa e sull’art. 41 co. 1 della Costituzione. L’applicazione analogica è vietata per le norme eccezionali. Inoltre, non esiste una diversità tra licenziamenti collettivi e individuali ai fini del divieto temporaneo, poiché la ratio del blocco è evitare la perdita immediata di posti di lavoro durante la pandemia.

Conclusioni della Corte

La Corte dubita della ragionevolezza di questa asimmetria di tutela e ritiene che la norma violi l’art. 3 della Costituzione. La discrezionalità del legislatore è insindacabile a condizione che la scelta normativa non sia manifestamente irragionevole. La Corte decide di sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 46 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, per contrasto con l’art. 3 della Costituzione. La questione è rilevante ai fini della decisione del ricorso per cassazione, che contesta l’inapplicabilità del blocco dei licenziamenti ai dirigenti.

In conclusione, la Corte ha dichiarato la questione di legittimità costituzionale rilevante e non manifestamente infondata, disponendo la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale e sospende il giudizio in corso.