Quando l’ex compagno Andrea Favero l’ha spinta giù da un cavalcavia dell’A4 nei pressi di Vigonza, nel Padovano, Giada Zanola, di 33, era, con molta probabilità, ancora viva: nel corso dell’autopsia non sarebbero stati trovati, sul suo corpo, segni di strangolamento o ferite da arma da taglio.
I primi risultati dell’autopsia sul corpo di Giada Zanola, uccisa dall’ex compagno Andrea Favero a Vigonza
Non si esclude comunque che la donna possa essere stata tramortita prima di essere sollevata e gettata al di là della ringhiera del cavalcavia, alta circa due metri nel punto interessato: se fosse stata cosciente, probabilmente si sarebbe dimenata, rendendo l’operazione difficoltosa.
I fatti risalgono alle 3 del mattino del 29 maggio scorso. Stando a quanto ricostruito finora, il 39enne, camionista di professione, avrebbe fatto precipitare Zanola sulla carreggiata dell’autostrada da un’altezza di circa dieci o quindici metri.
Agli inquirenti che lo hanno arrestato dopo aver escluso la possibilità di un suicidio e aver concentrato su di lui i sospetti ha raccontato però di avere un “vuoto di memoria“. “Lei mi sbraitava addosso dicendo che mi avrebbe tolto nostro figlio. Siamo scesi dall’autovettura, ma qui i ricordi si annebbiano”, ha detto.
Si pensava che potesse aver ucciso l’ex compagna già in casa, gettandone il corpo nel vuoto dopo averlo caricato in auto in un secondo momento; i primi riscontri dell’autopsia lo escluderebbero. Subito dopo i fatti sarebbe tornato a casa e si sarebbe messo a dormire. Qualche ora dopo, attorno alle 7, avrebbe inviato all’ex il seguente messaggio: “Sei andata al lavoro? Non ci hai nemmeno salutato!”.
Sperava di convincere tutti che la donna si fosse allontanata da sola mentre lui dormiva e che poi si fosse tolta la vita. Ad incastrarlo, oltre alle testimonianze, anche i filmati delle telecamere di videosorveglianza della zona.
I timori che la vittima aveva confidato alle amiche
Tre anni fa i due avevano avuto un bambino e avrebbero dovuto sposarsi. Da qualche tempo però ormai vivevano da separati in casa e le liti, tra loro, si erano fatte continue: Giada – che aveva intrapreso una relazione con un altro uomo – aveva confidato alle amiche di temere che l’ex potesse arrivare a drogarla o a ricattarla per dei video che avevano girato anni prima in momenti di intimità.
Conferme o smentite arriveranno dai risultati degli esami tossicologici eseguiti sui tessuti prelevati dal cadavere della vittima e dalla consulenza tecnico-informatica che il sostituto procuratore di Padova Giorgio Falcone ha chiesto a un perito di eseguire sul telefono cellulare di Favero. L’uomo, intanto, resta in carcere.
“Penso sempre e soltanto a mio figlio”, continuerebbe a ripetere da dietro le sbarre della sua cella del carcere Due Palazzi di Padova. Lo riporta il Messaggero. “Per noi era un ragazzo a posto”, ha detto la sorella della vittima al Corriere della Sera. Insieme al resto dei familiari di Giada non avrebbe mai pensato che il 39enne potesse arrivare a tanto.
“Non abbiamo mai sospettato nulla – ha spiegato – altrimenti saremmo andati subito a denunciare”. Ora ciò che si aspettano è “giustizia”. “Mi fido degli investigatori. Solo loro ci possono aiutare a fare chiarezza – ha dichiarato nell’intervista rilasciata al quotidiano -. Di sicuro Giada non si sarebbe mai suicidata”.
Ma perché Favero l’avrebbe uccisa? Le ipotesi sono molte: la più probabile è che non accettasse la fine della loro relazione e il fatto che, allontanandolo, la donna potesse allontanarlo, di riflesso, anche dal figlio. Un movente che caratterizza molti dei casi di femminicidio che ogni anno, purtroppo, si registrano.