Tre giorni in Ucraina, dilaniata da un conflitto che va avanti ormai da due anni, per testimoniare cosa accade e per portare aiuti nel nome della nonviolenza nella speranza che presto si possa parlare di pace: Angelo Moretti è portavoce del Movimento Europeo di Azione Nonviolenta (Mean) ed è stato nel nordest del Paese tra il 27 e il 31 maggio 2024. Nel corso di questi tre giorni il Mean ha incontrato diversi rappresentanti della società civile ucraina tra cui sindaci, giornalisti e rappresentanti religiosi.

Moretti ha raccontato a Tag24 l’atteggiamento dei cittadini ucraini di fronte alla guerra e la voglia di un futuro migliore. “Il ruolo che gioca la nonviolenza” spiega Moretti “è fondamentale per raggiungere la pace, al di là delle armi“.

Moretti (Mean): “Il ruolo della nonviolenza per raggiungere la pace in Ucraina”

Non si vedono più tanti stranieri in Ucraina dallo scoppio della guerra a febbraio 2022, eppure prima del conflitto il Paese sembrava essersi ritrovato – seppure con molta fatica – dopo aver ottenuto l’indipendenza nel 1991. Un percorso lento, adesso ancora di più dopo l’invasione russa, che però gli ucraini hanno saputo ‘tenere in moto’.

In tanti guardano già al futuro e alla possibilità di entrare nell’Ue e vivere un’esistenza migliore rispetto a questi anni difficili. Angelo Moretti spiega a Tag24 cosa sta succedendo nell’est Europa e il ruolo della nonviolenza e dei corpi di pace europei durante i conflitti.

D: Come nasce Mean e quali obiettivi si pone?

R: “Nasce come risposta della società civile italiana – ed europea – ad una guerra che è alle porte dell’Europa e che è in corso perché il popolo ucraino vorrebbe aderire all’Ue ma viene ostacolato dalla Russia. Il conflitto di fatto va avanti dal 2013 ma da due anni è iniziata una vera e propria guerra. Come società civile agiamo con la nonviolenza attiva

L’incontro con la società civile

D: Avete incontrato anche altri nonviolenti in Ucraina?

R: “La nonviolenza in Ucraina è una costante. Siamo stati nove volte qui ed abbiamo sempre incontrato esponenti della nonviolenza ucraina, l’ultimo incontro è stato fatto con il sindaco di Gorodnya, a confine tra Russia e Bielorussia. In questo paese di 11mila abitanti c’è stata una resistenza nonviolenta ai carri armati russi: i cittadini sono scesi con canti e bandiere e hanno fermato l’avanzata imponendo la loro forza”

“Quella zona poteva essere un centro strategico per i russi ma non potendo avere il consenso del popolo hanno fatto un passo indietro. I militari pensavano che avrebbero trovato una popolazione pronta ad accoglierli ed invece di fronte a loro c’era la resistenza

D: Ci sono anche altre esperienze?

R: “Pensiamo alle scuole aperte che continuano a funzionare nonostante la guerra, si tratta di un modo per non soccombere. Ci sarebbe anche l’esempio della Fiera del Libro che prosegue nonostante il conflitto…”

Lo scenario in Ucraina: un Paese in guerra con tante speranze di un futuro migliore

D: Cosa vi siete trovati davanti?

R: “In quest’ultimo viaggio abbiamo incontrato i sindaci dei paesi ai confini con la Bielorussia che vivono una grande solitudine perché la loro nazione è ferma ed isolata dal mondo, pensiamo poi che c’è stata anche la pandemia da Covid nel mezzo”.

“Abbiamo visitato anche dei lager dove i civili sono stati segregati. In particolare un paese dell’oblast di Cherniniv dove più di duecento persone sono state costrette a vivere all’interno di una scuola che è stata utilizzata come quartier generale dagli occupanti“.

“C’erano adulti e bambini segregati senza luce che potevano mangiare solo poche razioni al giorno. Sono morte undici persone. Il 31 marzo 2022 sono stati liberati ed abbiamo avuto il piacere di parlare con i sopravvissuti. Ci sono tanti scettici sulla resistenza ucraina. Essere visti dagli europei per chi resiste in Ucraina è fondamentale perché sanno che la loro ingiustizia viene conosciuta“.

Il sentimento degli ucraini sulla guerra

D: Quali sono i sentori in Ucraina su questo conflitto? Le persone sentono di dover ancora combattere o vogliono la pace?

R: “Per chi vive la quotidianità della guerra la resistenza è l’unico modo per vivere in pace. Si tratta di un paradosso che in Occidente non si percepisce: molti giovani che oggi resistono all’invasione russa sono molto simili a quelli che ci sono in Europa. In tanti sanno che non servono solo le armi e non ne sono ‘innamorati’ ma sanno che è un passo necessario per non soccombere“.

“Tanti aspettano la fine della guerra nella speranza che sia l’oppresso il vincitore. Come finirà? È una domanda che spesso si fanno le persone in Ucraina ma molti vogliono anche la normalità e sperano che l’Europa faccia un passo per garantire la sicurezza. Non solo in termini militari ma anche di riconoscimento dell’Ucraina.”

D: Cosa ne pensate delle parole di chi vorrebbe invece aumentare lo sforzo bellico?

R: “Noi siamo per la nonviolenza attiva e pensiamo che possa fare la propria parte. Io nelle missioni ho portato tante persone che hanno dato un contributo ma serve che siano in tanti a collaborare. Viene spesso trascurata una dinamica di fondo: per la Russia, il Donbass è russo. Difendersi nel Donbass significa attaccare i confini russi, bisogna tenere conto anche della realtà dei fatti. Nessuno pensa di dover aggredire Mosca ma, per esempio, concordano sulla distruzione delle basi da cui partono i missili”.

D: Saranno organizzati eventi simili per altri popoli in guerra?

R: “Quello in Ucraina è un conflitto vicino che coinvolge anche l’Europa, un’altra cosa sono invece i conflitti più lontani che hanno meno a che vedere con l’Ue. Vogliamo essere corpi civili di pace e pensiamo che sia un tassello fondamentale della difesa comune europea. Ci sono molti altri conflitti in corso, come quello in Palestina, dove riteniamo che l’Ue debba intervenire con una sua forza di pace. Abbiamo intenzione di andare in Palestina ma quando avremo qualcosa da dire e da fare assieme ad israeliani e palestinesi.”