È salito alla ribalta delle cronache con il soprannome di “serial killer della scacchiera” perché confessò di aver ucciso le sue vittime con il progetto – da lui stesso definito “grandioso” – di riempire le 64 caselle di una scacchiera che teneva in casa con i tappi delle bottiglie di vodka che di volta in volta usava per colpire i malcapitati prima di gettarne i corpi nelle fogne del parco di Bitsa, a Mosca: Aleksandr Picuskin è stato uno degli assassini russi più prolifici di tutti i tempi. Attualmente si trova in carcere.
La storia del serial killer russo Aleksandr Picuskin
L’infanzia, l’adolescenza, il primo omicidio
Nato il 9 aprile del 1974 a Mosca, Aleksandr Picuskin trascorre gran parte della sua infanzia e della sua adolescenza in istituti di igiene mentale. In uno di questi, verso la maggiore età, conosce quello che sarebbe diventato il suo unico vero amico, Michail Odijcuk.
Si tratta di un evento importante per la sua vita. I due progettano, infatti, di commettere un omicidio. Solo che alla fine Odijcuk si tira indietro, non presentandosi all’appuntamento che avevano concordato dopo una lunga pianificazione.
Picuskin, senza ripensamenti, lo uccide. È il 1992. Ha appena compiuto 18 anni. Molti anni dopo, nel corso dell’interrogatorio seguito al suo arresto (datato 2006) avrebbe detto che “il primo omicidio è come il primo amore, non si scorda mai”.
Più di quaranta vittime mietute tra il 2002 e il 2006
Dopo dieci anni di pausa, nel 2002, qualcosa spinge Picuskin ad uccidere ancora. I primi omicidi che commette avvengono in modo casuale, senza un movente. Dal dodicesimo tutto cambia: l’uomo, affetto da una psicopatologia e ispirato alla storia di Kasparov, tra i più grandi scacchisti di tutti i tempi, si convince di poter portare a termine un progetto che lui stesso definisce “grandioso”: quello di riempiere le 64 caselle di una scacchiera che ha in casa facendo in modo che ad ognuna corrisponda una vittima, un delitto.
Le copre, di volta in volta, con dei segni oppure con i tappi delle bottiglie di vodka di marca Veles (dal nome di una divinità pagana della cultura russa) che usa come armi, colpendo alla testa i malcapitati di turno prima di gettarne i corpi nelle fogne del parco di Bitsa, a sud di Mosca. Il modus operandi è sempre lo stesso e ricorda, in parte, quello di un altro serial killer, Andrej Romanovic Cikatilo, che attirava le sue vittime promettendo loro soldi (Picuskin offriva alcol o una spalla su cui piangere a persone in difficoltà) prima di ucciderle e dedicarsi ad atti di cannibalismo sui loro corpi.
L’arresto e la confessione
Nel 2006, dopo una lunga scia di omicidi, è stato arrestato. Nel 2007 i giudici russi lo hanno condannato alla pena dell’ergastolo, riconoscendolo colpevole di 49 omicidi. Lui ha sempre sostenuto di averne commessi almeno 60, forse 62. In una puntata di “Crimini e criminologia” andata in onda su Cusano Italia Tv il criminologo e sociologo Marino D’Amore, ospite del conduttore Fabio Camillacci, ha osservato che, se non si fosse fatto catturare, probabilmente avrebbe continuato ad uccidere.
Il suo ultimo omicidio, quello cruciale, risale al 2006: la polizia russa aveva da poco arrestato una transessuale perché sospettava che potesse essere l’autrice di alcune sparizioni che si erano verificate nei pressi del parco di Bitsa (luogo di tutti gli omicidi di Picuskin); l’uomo, sentendosi privato della celebrità che pensava dovesse spettargli, aveva quindi deciso di attirare una sua collega nel parco, preoccupandosi di far sapere al figlio che quella sera sarebbe stata con lui e l’aveva uccisa, lasciando il suo corpo in bella vista affinché fosse ritrovato e potesse portare a lui, in un ultimo atto di glorificazione.