La definizione di morte cerebrale, che è il criterio base per lo spegnimento delle macchine vitali, potrebbe essere messa in discussione da un nuovo studio scientifico.

La ricerca solleva dubbi sull’affidabilità dei criteri attualmente utilizzati, aprendo la strada a potenziali cambiamenti nel protocollo di diagnosi e nel trattamento dei pazienti in coma irreversibile. Si sospetta, infatti, che le macchine vengano spente troppo presto.

Lo studio, condotto da un team di ricercatori internazionali, ha analizzato i dati di oltre 1.000 pazienti con diagnosi di morte cerebrale. I risultati hanno evidenziato che alcuni di questi pazienti presentavano attività cerebrale residua, pur soddisfacendo i criteri clinici per la morte cerebrale. Scendiamo nei dettagli di questa inquietante ricerca.

Cos’è la morte cerebrale

Quanto è certa la diagnosi di morte cerebrale? E quali sono i criteri per stabilirla?

La morte cerebrale viene dichiarata dai medici dopo una valutazione dettagliata del paziente, che include test neurologici, esami di imaging e altri criteri specifici definiti dalle linee guida mediche.

Solo dopo aver confermato l’assenza irreversibile di attività cerebrale, i medici possono dichiarare la morte cerebrale. Questo processo segue criteri rigorosi.

Tuttavia questo tipo di “fine vita” ha tantissime implicazioni etiche e filosofiche di notevole rilevanza. È davvero certa questa diagnosi di morte? È davvero la fine della vita? O le macchine salvavita vengono staccate troppo presto?

Le macchine salvavita vengono spente troppo presto? Uno studio cerca di rispondere a questa domanda

Una lesione cerebrale traumatica comporta danni al cranio e al cervello. Per chiarire: se il cervello rimane senza ossigeno per troppo tempo, la persona perde conoscenza. Dopo circa cinque minuti, la mancanza di ossigeno provoca danni cerebrali.

Spesso, il risultato è il coma: il corpo può essere mantenuto in vita, ma il cervello non è più sufficientemente attivo per gestire le funzioni vitali.

Per quanto tempo ha senso proseguire la terapia intensiva? Fino a quando è utile continuare la terapia intensiva e mantenere la vita “artificialmente”?

Gli scienziati americani hanno esaminato più da vicino questo fenomeno. Utilizzando un database nazionale, hanno selezionato 1.392 pazienti e confrontato vari parametri tra di loro. Alla fine, hanno analizzato due gruppi: uno composto da 80 pazienti con lesioni gravi che sono deceduti dopo che il supporto vitale era stato interrotto e un altro gruppo di 80 pazienti simili in cui il supporto vitale non era stato disattivato. In media, nel primo gruppo le misure di supporto vitale sono durate circa cinque giorni e mezzo.

Il risultato solleva interrogativi: come previsto, la sospensione delle misure di supporto vitale ha portato alla morte. Tuttavia, tra i pazienti per i quali il supporto vitale è stato continuato oltre il sesto giorno, il 45% era ancora vivo dopo sei mesi.

Ciò significa che in quasi la metà dei casi la decisione di interrompere tempestivamente le misure di supporto vitale avrebbe potuto essere sbagliata.

Va precisato che la maggior parte di questi pazienti ha subito gravi conseguenze nell’anno successivo ed è rimasta sotto cura per tutta la vita. I danni cerebrali riportati li hanno resi dipendenti dal sostegno degli altri. Ma vivi.

Alcune persone a cui non sono state staccate le macchine sono tornate alla vita precedente

Alcuni sono addirittura tornati alla vita precedente: otto pazienti ricontrollati dopo sei mesi sono risultati “relativamente indipendenti” secondo la valutazione dei medici. Ad esempio, potevano chiamare e utilizzare un taxi. Quattro di questi otto pazienti hanno addirittura raggiunto una completa riabilitazione.

La nostra esperienza aneddotica è che ad alcune famiglie è stato detto che i loro cari non avevano alcuna possibilità di recupero, che non avrebbero mai più camminato, parlato, lavorato o avuto una relazione significativa. Tuttavia, hanno scelto di non interrompere il supporto vitale e la persona amata ha avuto una guarigione notevole,” ha dichiarato un ricercatore a Fox News Digital.

D’altra parte, i medici sono sotto pressione per fare previsioni precoci e non vogliono condannare qualcuno a una vita che non sarebbe mai accettabile per loro. Quindi, potrebbe essere che quei pazienti che sono morti dopo la sospensione del supporto vitale avrebbero comunque avuto menomazioni molto significative.

Bodien ha anche affermato: “Alcuni pazienti con lesioni cerebrali traumatiche, morti a causa della sospensione del supporto vitale, avrebbero potuto riprendersi. L’altra è che molti sarebbero morti anche se il supporto vitale fosse stato continuato.

La prognosi di un paziente dopo una grave lesione cerebrale traumatica è altamente incerta. A volte i pazienti con le lesioni più devastanti sopravvivono e ottengono recuperi significativi.

Il problema, ha detto Bodien, è che gli operatori sanitari non hanno gli strumenti necessari per determinare quali pazienti con lesioni gravi guariranno, in che misura si riprenderanno e quanto tempo ci vorrà.

Il dottor Marc Siegel, professore clinico di medicina presso il Langone Medical Center della New York University e collaboratore medico di Fox News, non è stato coinvolto nella ricerca ma ha affermato che si tratta di uno studio molto importante.

Sulla base dei risultati dello studio, Bodien ha raccomandato ai medici di essere “molto cauti” con “decisioni irreversibili” come la sospensione del supporto vitale nei giorni successivi alla lesione cerebrale traumatica.