Sofia Stefani è morta dopo essere stata raggiunta al volto da un colpo di proiettile sparato a distanza ravvicinata, 30 centimetri al massimo: è quanto emerge dai primi risultati dell’autopsia eseguita nei giorni scorsi sul corpo dell’ex vigilessa. Lo riporta il Resto del Carlino. È il Corriere della Sera invece a parlare delle ultime dichiarazioni rilasciate al giudice dall’uomo che è accusato di averla uccisa, il 62enne Giampiero Gualandi, che fin dall’inizio sostiene di averla colpita accidentalmente.
Omicidio di Sofia Stefani ad Anzola, cosa emerge dall’autopsia
I fatti risalgono allo scorso 16 maggio. Stando a quanto ricostruito finora nel corso delle indagini, la 33enne sarebbe stata uccisa dall’ex comandante della polizia locale Giampiero Gualandi, con cui sembra avesse avuto una relazione, nel corso di una lite scoppiata all’interno della “Casa gialla” di Anzola dell’Emilia.
L’uomo, di 62, sostiene di aver esploso il proiettile che avrebbe colpito Stefani allo zigomo sinistro per errore, durante una colluttazione: interrogato, ha detto al giudice che la donna lo “perseguitava” perché voleva che tornassero insieme dopo che lui aveva messo fine alla loro storia extraconiugale. “Mi aveva detto di essere incinta, ma poi mi aveva confessato che non era vero”, avebbe dichiarato Gualandi.
Lo riporta il Corriere della Sera, secondo lui l’uomo, dopo aver parlato del tradimento alla moglie, aveva deciso di non lasciare la sua famiglia e di tornare sui suoi passi. Decisione che la 33enne, a sua volta fidanzata, non avrebbe accettato: dai primi accertamenti è emerso che il giorno dell’omicidio chiamò l’ex per almeno 15 volte, prima di fargli visita in caserma.
Qualche giorno prima lui gli aveva scritto in dei messaggi: “Non sopporto più questa pressione”. Per questo chi indaga sul caso non esclude – anzi, è portato a pensare – che quando le sparò lo fece consapevolmente, avendo ritirato l’arma d’ordinanza (che non gli serviva) una mezz’ora prima del suo arrivo.
La ricostruzione della Procura e la versione della difesa
Per la Procura e per il giudice che ne ha disposto la custodia cautelare in carcere, Gualandi si sarebbe attivato per chiamare il 118, dopo averla presa in pieno al volto, “per simulare una tragica fatalità”. Aveva, in realtà, “già in mente l’omicidio”. Il movente? Il presunto “stato di esasperazione” nel quale si sarebbe trovato dopo aver cercato di rompere il suo legame con la giovane. È accusato, al momento, di omicidio volontario aggravato dai futili motivi e dalla relazione sentimentale.
L’avvocato Claudio Benenati, che lo difende, ha chiesto al Tribunale della Libertà di scarcerarlo o, in subordine, di concedergli gli arresti domiciliari. Secondo lui, riporta ancora il Corriere della Sera, “non sarebbe provata la volontarietà dell’omicidio”.
Da un’analisi più approfondita dei dispositivi elettronici di vittima e carnefice si potrà chiarire se Stefani avesse preannunciato la sua visita a Gualandi (pare che non fosse la prima volta che si incontrassero lì) e se quest’ultimo, come si pensa, abbia avuto il tempo di ritirare l’arma del delitto dalla cassetta di sicurezza.
Stando alla sua versione, gli sarebbe servita qualche giorno dopo per un’esercitazione di tiro: quando il colpo partì, ha dichiarato, la stava “pulendo”. Sembra però che una data per la pratica al poligono non fosse stata ancora fissata e che l’uomo, avendo compiti amministrativi, non avrebbe avuto alcun motivo per tenerla con sé proprio quel giorno. Con Stefani si erano conosciuti sul luogo di lavoro prima che a lei non venisse rinnovato il contratto come vigilessa; poi la relazione, la rottura e l’omicidio.