Torna la parziale calma nella Nuova Caledonia dopo le recenti proteste degli scorsi giorni contro la riforma elettorale che estenderebbe l’elettorato ad altre 27mila persone che vivono nell’arcipelago, dietro le proteste si pensa che ci sia la Cina che ha ambizioni sul controllo dell’Oceano Pacifico.
Pechino nel frattempo ha portato avanti delle esercitazioni che hanno fatto temere un’invasione di Taiwan – almeno in Occidente. Operazioni che null’altro sono se non una mera prova di forza per destabilizzare Taipei. La giornalista de ‘Il Foglio‘ ed esperta di Asia Giulia Pompili ha parlato a Tag24 di quello che sta succedendo nell’Oceano Pacifico.
Le ambizioni della Cina e le proteste in Nuova Caledonia: cosa succede nell’Oceano Pacifico?
Scontri violenti in Nuova Caledonia per la riforma elettorale voluta dalla Francia che a detta dei movimenti indipendentisti minacciano l’ambizione dell’autonomia da Parigi ed esercitazioni cinesi a largo delle coste di Taiwan. In molti vedono dietro ai disordini di Nouméa lo zampino di Pechino, da sempre interessata al controllo dell’Oceano Pacifico.
Cosa sta succedendo dall’altra parte del mondo? E che ripercussioni potrebbero esserci? Ne abbiamo parlato con la giornalista de ‘Il Foglio’ Giulia Pompili.
D: Perché c’è così poca attenzione per l’Indopacifico?
R: “Ci si è sempre occupati di Indopacifico. Da almeno quindici anni, quando si è pensato che la lotta al terrorismo fosse vinta, è cominciata ad emergere la potenza asiatica. Sia nelle accademie che nei discorsi comuni si parlava di ‘nuovo secolo asiatico‘: l’attenzione anche mediatica sull’area del pacifico – Asia Orientale e Pacifico del Sud assieme all’India – resta sempre alta”.
“Intorno al 2010, la Cina è emersa come possibile competitor degli Usa dal punto di vista politico ed economico ha ovviamente decretato un’attenzione particolare nei confronti di Pechino. L’attenzione è salita dopo che il Pil cinese ha superato quello giapponese”
Le proteste in Nuova Caledonia
D: Per quanto riguarda le proteste in Nuova Caledonia?
R: “La Nuova Caledonia è territorio francese e sono cittadini a tutti gli effetti europei e la Francia ha un interesse particolare per quest’area. I disordini vengono da un misto di frustrazione ed insoddisfazione da parte dei gruppi indipendentisti che sono una minoranza rispetto alla popolazione nata e cresciuta nella Francia continentale e spostatasi in Nuova Caledonia“
“Le proteste nascono dalla riforma elettorale che l’amministrazione Macron voleva introdurre per far votare i francesi residenti in Nuova Caledonia da più di 10 anni. Una mossa che ha riacceso gli umori indipendentisti, in passato ci sono stati tre referendum come previsto dai negoziati tra Parigi ed indipendentisti. Tutti e tre sono stati persi, il terzo referendum ha portato alla creazione di un’Internazionale a guida cinese nei territori vicini. La preoccupazione nasce quando Pechino ha firmato accordi di sicurezza con le Isole Salomone – non troppo distanti dalla Nuova Caledonia”
D: Ci sono anche altre ambizioni su questa parte del mondo?
R: “Ci sono interessi anche da parte di altri Paesi europei nel Pacifico. La Germania aveva una forte partnership con la Cina anche se ora ha iniziato ad emanciparsi. Anche la Lituania era molto vicina a Taiwan“.
Il ruolo dell’Occidente
D: Come ha lavorato la diplomazia occidentale a riguardo?
R: “È sempre stata impegnata su tanti fronti negli ultimi decenni ed ha “accantonato” degli Stati insulari che invece avevano bisogno dell’Occidente, quel vuoto diplomatico è stato riempito dalla Cina: più vicina e dotata di una grande missione diplomatica. L’Ue ha riaperto in tempi recenti dei negoziati negli Stati insulari del Pacifico”.
D: Cosa c’entra l’Azerbaigian con le proteste?
R: “La presunta presenza di Baku nelle proteste potrebbe essere legata ad una posizione adottata dalla Francia nella guerra in Nagorno Karabakh. L’Azerbaigian ha sfruttato l’occasione in Nuova Caledonia per dar fastidio alla Francia: nelle piazze sono comparse bandiere azere…”
Cosa succede a Taiwan? “Una mera prova di forza, la vita sull’isola procede”
D: Le esercitazioni della Cina vicino a Taiwan devono preoccupare?
R: “Si tratta di un modo per intimidire la popolazione taiwanese. Pechino si esercita sul blocco navale nei confronti dell’isola: un modo per mostrare i muscoli ma la vita a Taiwan va avanti normalmente. In Occidente c’è una percezione diversa, molto più aggressiva e di pericolo. La Cina vuole mettere paura a Taiwan per portare i cittadini a scegliere un governo più populista e filocinese”
“Un’azione di forza contro l’isola sarebbe molto costosa. Negli ultimi anni c’è stato uno scollamento delle identità: nessun taiwanese si sente cinese oggi. Negli anni Taiwan è diventata una democrazia e non vuole saperne di far parte di una dittatura. Quello che è successo ad Honk Kong nel 2020 è stato di lezione per i taiwanesi“.
D: Come ci si deve rapportare con le ex colonie che puntano all’indipendenza? C’è il rischio di finire a priori nella sfera di influenza cinese o russa?
R: “Dichiarare l’indipendenza o avere un percorso verso l’autonomia non significa cadere nella trappola della sfera di influenza russa o cinese, se ci fossero strutture di supporto occidentali non accadrebbe. Questa resta tuttavia una valutazione politica, non sono i giornalisti a dire se è giusto o sbagliato”