Oltre 107mila Bitcoin, per un valore di circa 7 miliardi di dollari, sono stati trasferiti dai portafogli di Mt.Gox a un indirizzo sconosciuto. L’operazione, condotta mediante tredici transazioni, potrebbe essere parte di un piano teso a ripagare i creditori entro il prossimo 31 ottobre.

In attesa di capire meglio cosa sta accadendo, il mercato ha comunque avuto una reazione negativa. Si è infatti innescato un ribasso dell’1,4% per BTC, sceso sino a 67.680 dollari, dopo che nei giorni passati aveva nuovamente valicato i 70mila.

Bitcoin sotto i 68mila dollari: cosa sta accadendo?

Più di qualche osservatore nelle settimane passate aveva provato a mettere in guardia gli investitori, sul possibile influsso negativo dei rimborsi collegati al crac di Mt. Gox. In particolare, il timore era che i trader interessati dal piano predisposto per sanare la ferita risalente al 2014 potessero riversarsi sui mercati e vendere in maniera disordinata, per rientrare delle perdite accumulate a seguito della vicenda.

In attesa di capire cosa potrebbe effettivamente accadere, una prima avvisaglia si sta avendo in queste ore. I wallet appartenenti al defunto exchange, infatti, hanno trasferito oltre 107mila Bitcoin, per un valore di circa 7 miliardi di dollari, a un indirizzo sconosciuto. L’operazione è iniziata a partire dalle prime ore del mattino asiatico di oggi e ha provocato l’immediato smottamento dell’icona crypto, sul mercato.

Monitorando l’attività del portafoglio si evidenzia che i movimenti sono stati effettuati tramite tredici transazioni. Una probabile transazione di prova del valore di 3 dollari è però stata effettuata il 20 maggio, mentre un’altra transazione da 160 dollari è stata effettuata stamattina. Le restanti undici transazioni variavano da 1,2 milioni di dollari a 2,2 miliardi di dollari in token.

Le prime reazioni sulle operazioni di Mt. Gox

Questo è il primo spostamento di asset dai cold wallet di Mt. Gox in oltre cinque anni e tutte le monete virtuali sono state trasferite al nuovo indirizzo “1JbezDVd9VsK9o1Ga9UqLydeuEvhKLAPs6”. Ad affermarlo è stato il responsabile della ricerca di CryptoQuant, Julio Moreno, in un post su X.

Resta ora da capire se il tutto sia realmente legato al piano di rimborso che è stato deciso da un tribunale, a favore degli ex clienti dell’exchange. I dubbi sono però molti, tanto da spingere Alex Thorn, capo della ricerca presso Galaxy, a dichiarare in un post su X di attendersi che la maggior parte degli asset trasferiti fossero detenuti dai creditori. Mentre, al contrario, sembra prospettarsi una vendita diretta sul mercato aperto.

Ove ciò avvenisse, con un afflusso disordinato, il prezzo di Bitcoin potrebbe effettivamente andare incontro ad un calo di larga portata. Ipotesi che, giova ricordarlo, era stata prospettata nelle settimane passate.

Mt. Gox: cosa è accaduto nel 2014?

La vicenda relativa allo scambio di criptovalute Mt. Gox rappresenta una di quelle più oscure, in ambito crypto. La piattaforma, infatti, nel periodo tra il 2013 e il 2014 controllava circa il 70% della compravendita di token, a livello globale.

Il 7 febbraio del 2014, però, lo scambio bloccò le transazioni, emanando un comunicato molto confuso. I timori innescati si concretizzarono nell’immediato crollo di BTC, che perse il 20% del proprio valore, e nel classico assalto agli sportelli.

Un assalto, però, senza alcun esito. Il 24 febbraio, infatti, il sito andò offline e annunciò la perdita di 744.408 Bitcoin. Una cifra poi corretta in circa 850mila, dei quali 200mila recuperati. Mentre BTC continuava ad accumulare perdite, sino al 36%, la vicenda divenne di pubblico dominio.

La proprietà, in particolare, dichiarò che problemi tecnici avevano aperto la strada a prelievi fraudolenti. Una dichiarazione assolutamente improvvida, dalla quale non si è mai capito se si sia trattato di furto, frode, malagestione. O di un mix tra tutti questi fattori.

Ad aggiungere motivi di polemica, fu poi Tokyo WizSec, una società di sicurezza informatica. Dopo aver analizzato i fatti, concluse infatti che i furti di BTC avvenivano in maniera continuativa sin dal 2011. Il CEO, Mark Karpelès fu inizialmente riconosciuto colpevole solo di negligenza. Soltanto in epoca più recente il tribunale distrettuale di Tpkyo lo ha condannato a 2 anni e 6 mesi di reclusione per manomissione di documenti finanziari.