Chi è il vero colpevole del delitto di Ponticelli? Se lo chiedono in molti, ripensando alla storia delle due ragazzine rapite, torturate e uccise nel Napoletano ormai 41 anni fa: la sensazione comune è che le tre persone condannate per quello che sui giornali è stato rinominato, nel tempo, un “massacro”, siano, infatti, innocenti. Per spiegare il motivo occorre fare un passo indietro.
La ricostruzione del massacro avvenuto 41 anni fa
Tutto inizia il 3 luglio del 1983 nel Rione Incis di Ponticelli, un quartiere di Napoli. I corpi di Barbara Sellini e Nunzia Munizzi, di 7 e 10 anni, vengono trovati senza vita nel greto del torrente Pollena, nei pressi di una sopraelevata ancora in costruzione: sono posizionati uno sopra all’altro, semi carbonizzati, ricoperti di ferite.
L’autopsia stabilirà che le due ragazzine, scomparse nel nulla la sera del 2 luglio, erano state abusate sessualmente, torturate e poi uccise. Con loro avrebbe dovuto esserci una loro amica, Silvana Sasso, di 9: le tre, stando a quanto avrebbe riferito in seguito la ragazzina, si erano date appuntamento con un uomo, un certo “Gino”, per un gelato.
Solo che la nonna, alla fine, le aveva impedito di raggiungere le altre: così si era salvata dal massacro. Un’altra bimba, Antonella Mastrillo, dirà di aver visto le due coetanee recarsi in pizzeria attorno alle 19.30 del giorno dell’ultimo avvistamento e di aver notato, a poca distanza da loro, una Fiat Cinquecento verde con un fanalino rotto e la scritta “vendesi” parcheggiata.
Chi è il vero colpevole del delitto di Ponticelli? Tanti ancora i dubbi
I sospetti si concentrano in un primo momento su un venditore ambulante pregiudicato della zona, un uomo semi analfabeta di nome Corrado Enrico, noto in paese come “Maciste” per via della sua corporatura robusta: si faceva chiamare “Luigino” (un nome che richiamava quello fatto da Silvana), possedeva una Fiat 500 di colore verde come quella avvistata da Antonella la sera del 2 luglio ed era solito frequentare la zona del ritrovamento dei corpi delle due bambine; zona in cui, a suo dire, si “divertiva” proprio ad attirare i minorenni del posto.
Nonostante gli indizi a suo carico, l’uomo, alla fine, viene rilasciato: vengono arrestati, subito dopo, tre adolescenti incensurati tra i 18 e i 20 anni. Si tratta di Ciro Imperante, Giuseppe La Rocca e Luigi Schiavo. Contro di loro c’è la testimonianza del fratello di Antonella, Carmine Mastrillo: stando alle ricostruzioni, gli inquirenti lo avrebbero sentito per ben 10 volte dopo i fatti, tenendolo recluso nella Caserma Pastrengo a stretto contatto con il collaboratore di giustizia Mario Incarnato.
La sua versione è la seguente: la sera del 2 luglio, attorno alle 20.30, i tre giovani si sarebbero recati alla discoteca “Eco club” (dopo essersi ripuliti) e gli avrebbero riferito di aver ammazzato le bambine. È sulla base di questa versione che i tre (di cui solo uno confesserà, rivelando poi di essere stato torturato e spinto a parlare) saranno condannati all’ergastolo: si pensa, però, che siano vittime di un errore giudiziario. Se la testimonianza di Mastrillo fosse vera, non si spiegherebbero, comunque, le tempistiche del massacro: com’è possibile che in un arco temporale di appena 45 minuti, e per di più alla luce del sole, Barbara e Nunzia siano state torturate e uccise senza che nessuno se ne accorgesse da tre persone?
Che fine hanno fatto i presunti “mostri di Ponticelli”
Contro i tre non c’erano prove. Lo pensano in tanti, avanzando l’ipotesi che sia stato Incarnato a spingere Mastrillo a fare i loro nomi. L’obiettivo? Per la camorra allontanare i riflettori e le forze dell’ordine dal posto; per i carabinieri chiudere in fretta il caso.
Caso che ora i diretti interessati – usciti dopo 27 anni di carcere nel 2010 – puntano a far riaprire: lo scorso gennaio insieme alla deputata Stefania Ascari hanno chiesto alla commissione parlamentare Antimafia di riprendere in mano le indagini. Ciò che sperano è di arrivare alla revisione del processo che li ha riconosciuti colpevoli. A sostenerli, tra gli altri, c’era, alla Camera, anche lo scrittore Roberto Saviano.